di Gianfilippo De Astis
Chi ha letto il libro o visto una delle versioni cinematografiche, ricorderà che prima di tuffarsi dentro il famoso vulcano islandese Snaefells e verso gli abissi del Pianeta Terra, Otto Lidenbrock, il professore di mineralogia protagonista di “Viaggio al centro della Terra” (J.Vernes, 1864), dovette giungere da Amburgo al suo cratere. Avrebbe potuto farlo senza una mappa?
Per viaggiare verso un luogo della Terra e poi muoverci in una certa area e sperar di capire quale storia geologica ha attraversato e quale geologia la caratterizza adesso, abbiamo necessità di realizzare (e/o consultare) MAPPE per rendere quel mondo di rocce visibile, percorribile e comprensibile a tutti (o insomma a molti). In questo senso i vulcani sono luoghi sulla superficie del nostro Pianeta veramente speciali sia per la morfologia, sia per gli infiniti colori, sia per i numerosi processi naturali che vi si svolgono: sollevamenti, collassi di alcune loro porzioni, fuoriuscita di gas, eruzioni tranquille ed eruzioni catastrofiche… insomma cambiamenti continui.
il compito di mappare i vulcani in tutte le scale possibili, dopo averli accuratamente esplorati e studiati, è una delle sfide più avvincenti e spesso più difficili per un geologo. La mappa di un vulcano prende forma giorno dopo giorno, sotto forma di bozza, con un lavoro effettuato direttamente sul terreno: il rilevamento geologico.
Tuttavia da sempre, e ben prima che i geologi esistessero, l’uomo è stato attratto dai vulcani e dalle loro manifestazioni e quindi i vulcani sono sempre stati aree visitate, investigate, rappresentate, diventando tra i primi luoghi della Terra ad essere raccontati e, successivamente, mappati.
Il forte “anelito” dell’uomo verso i vulcani, è ampiamente testimoniato dai numerosi resoconti di viaggio (sin dalla metà del ‘700, almeno), dalle illustrazioni grafiche, dai romanzi e dalle prime carte geologiche redatte per le aree vulcaniche che hanno duecento anni o poco meno.
Per lungo tempo le mappe geologiche sono state prodotte nelle tipografie ed hanno richiesto un lungo lavoro artigianale. Ognuna di esse era il riflesso delle conoscenze geologiche disponibili al momento della loro realizzazione. Poi, nel tempo, le mappe si sono evolute verso “immagini” sempre più raffinate e dettagliate, grazie ai grandi progressi conoscitivi compiuti in oltre due secoli di sviluppo delle scienze geologiche e della tecnica moderne. Per ogni area del nostro Paese, quindi, possono esistere diverse “generazioni” di carte geologiche.
Per quanto riguarda i vulcani attivi, a causa delle più o meno frequenti eruzioni, avvengono continui e rapidi mutamenti del loro paesaggio e della geologia da rappresentare e quindi anche in conseguenza di questo è spesso sopravvenuta la necessità di aggiornare o rifare le mappe utilizzate per rappresentarli. Si pensi a quante decine di eruzioni sono avvenute sull’Etna negli ultimi decenni ed a quante nuove colate di lava hanno coperto il vulcano oggi rispetto a cinquant’anni fa! Le eruzioni effusive possono durare mesi, come alle Hawaii nel 2018, dove le eruzioni sono arrivate a depositare fino a 0.5 km3 di lava: un volume che avrebbe potuto ricoprire Manhattan con una coltre spessa 8.5 m.
Ma in questi ultimi secoli non sono cambiati solo i metodi per fare le mappe dei vulcani, è anche molto cambiato il modo di raccontarli e di descriverli: nei romanzi, nella poesia e negli stessi resoconti scientifici.
Questo è un breve viaggio attraverso alcune di queste Mappe e fra alcuni di quegli scrittori, poeti e viaggiatori che i vulcani li hanno descritti, vissuti ed amati.

Le prime mappe e le prime “osservazioni”
Benché non ci sia accordo assoluto e la cosa sia tuttora controversa, un dipinto murale datato col 14C circa 6200 a.C., trovato dall’archeologo J. Mellaart nel 1963 in un sito turco chiamato Catalhoyuk, potrebbe essere il primo dipinto di paesaggio conosciuto con dei vulcani, (per alcuni potrebbe essere un falso). Il murale mostra un vulcano attivo con un doppio picco che domina una città ed è verosimilmente proprio lo strato-vulcano Mt.Hasan che è visibile dalla città di Çatalhöyük (Figura 1).
Venendo all’Europa ed all’Italia, la prima testimonianza dettagliata di un’eruzione vulcanica, forse la prima al mondo in termini letterari, è la descrizione dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che distrusse Pompei ed Ercolano (Figura 2), scritta da Plinio il Giovane in una lettera allo storico Tacito, suo amico.

Altri dopo di lui hanno descritto i vulcani e la loro attività, sia in parole che in immagini.
Tra la fine del ‘700 e l’inizio dell‘800, la Natura diventa oggetto di indagine e di ispirazione per scienziati di professione ma anche per letterati in cerca di fama. L’interesse e la curiosità per i fenomeni naturali osservabili e descrivibili – eruzioni, frane, alluvioni, maremoti, ghiacciai – dilagano e l’Abbé de Saint-Non, L.Spallanzani, W.Goethe, W. Hamilton, C.Lyell sono solo alcuni dei nomi di quegli uomini che hanno viaggiato e descritto.
In questi viaggi naturalistico-letterari, in Italia (e nel mondo), i vulcani ricevono grandissima attenzione.
Ed alcuni, come per esempio William Hamilton per i Flegrei ed il Vesuvio, pubblicano i loro libri con splendide immagini artistiche (le famose gouaches, le tempere) probabilmente intuendo l’importanza di accompagnare il testo descrittivo con qualcosa di osservabile e comprensibile all’occhio (vedi Nota 1 a fine articolo).
Le prime MAPPE del Vesuvio (J. Audjio e J. Johnston-Lavis)
L’osservazione, col passare del tempo, si è fatta sempre più attenta a spiegare razionalmente i fenomeni osservati e le rappresentazioni son diventate sempre più ricche di dettagli. I disegni non si limitavano più a rendere la maestosità del fenomeno ma cominciavano a rappresentare sempre più oggettivamente l’aspetto dei vari elementi. Si è quindi aggiunta, alla rappresentazione in soggettiva, una raffigurazione in pianta, per collocare gli elementi nello spazio, su delle mappe.
Dopo aver a lungo oscillato tra arte e realtà – si pensi ai disegni e ai dipinti che raccontano il Vesuvio in attività tra il ‘700 e l’800 – la descrizione dei fenomeni naturali avvenuti sul Vesuvio e ad opera delle eruzioni Vesuviane incontra una prima sintesi di geologia vulcanica nella mappa (1832) del geologo e alpinista J. Auldjo, che mostra i percorsi delle colate di lava emesse tra il 1631 e il 1831 (figura 3).

Una sessantina di anni dopo, viene pubblicata la carta geologica del Vesuvio del medico inglese J. Johnston-Lavis (1891), su carta topografica in scala 1:10000 del Governo italiano, corredata da un libretto esplicativo (“A Short and Concise Account of the Eruptive Phenomena and Geology of Monte Somma and Vesuvius”). La Legenda su questa mappa riconosce per la prima volta due punti chiave nella storia eruttiva del Vesuvio: l’eruzione pliniana del 79 AD (Pompei-Ercolano) e quella sub-pliniana del 1631 (per un approfondimento sul significato e la funzione della Legenda si veda la Nota 2 in fondo al testo). Potremmo quindi dire che i geologi e poi i vulcanologi sono stati costretti ad andare oltre i navigatori, gli esploratori e i letterati perché hanno dovuto rappresentare non solo la topografia e la geografia, ma anche l’interno della Terra – almeno le porzioni superiori della crosta – e la ricostruzione di fenomeni mai visti (figura 4).

Le Mappe della moderna cartografia geo-vulcanologica
Con il ‘900 si entra nell’era moderna delle Mappe e nell’ambito della rappresentazione cartografica più avanzata. Si entra anche in una narrazione diversa da parte degli scrittori che osservano e/o vivono in prossimità dei vulcani.
Come mai? Circa le mappe, i motivi sono numerosi e in generale sono legati all’aumento delle conoscenze (geologiche) e delle possibilità di produrre carte che avendo una topografia più dettagliata riesce a restituire la morfologia del terreno molto meglio.
A ciò si aggiunge anche una specificità del riprodurre la geologia di un’area vulcanica su una carta 2D.
Le fasi di costruzione e distruzione di un apparato vulcanico che si alternano in intervalli di tempo da brevi a lunghissimi, rendono problematica la ricostruzione della sua stratigrafia, così come la cartografia del vulcano medesimo e dell’area circostante: in pratica, i contatti tra i corpi rocciosi ed i vari depositi sono più complessi nelle loro variazioni spaziali rispetto ad altri ambienti della Terra e quindi più difficili da rappresentare. Per questo i vulcani e le successioni vulcaniche sono stati visti e trattati, per molti versi, in modo diverso rispetto ad altre successioni geologiche rappresentate su carta.
Col passare del tempo, le osservazioni sono divenute sempre più aderenti a principi e modelli geologici moderni e uniformi e hanno risposto alla necessità di essere lette e interpretate nella maniera più univoca possibile: così, le carte sono divenute man-mano aderenti a differenti criteri di rappresentazione.
In altri termini, i disegni non si sono più limitati a rendere la maestosità del fenomeno ma hanno iniziato a mostrare con maggiore oggettività gli elementi del “paesaggio geologico”. Alla rappresentazione soggettiva della Natura, si è aggiunta, fino a prevalere, la necessità di raffigurare in pianta i prodotti dei processi geologici (cioè le rocce), per collocarli nello spazio e per ricostruirne la storia: le mappe come rappresentazioni, su base topografica, delle diverse rocce affioranti nell’area studiata, della loro disposizione spaziale e dei rapporti che esistono tra di esse.
Nelle prime carte le rocce affioranti erano poco differenziate sia per caratteristiche che per tempi di formazione. Successivamente, la differenziazione delle “unità” basata sull’età, sulla litologia, sulla morfologia e sull’ambiente di formazione si è fatta più ampia e dettagliata.
In questo progressivo cambiamento, le diverse rocce sono state distinte usando diversi colori ed appositi simboli sono serviti a mostrare la loro geometria (giacitura degli strati), i rapporti stratigrafici (limiti o contatti stratigrafici) o tettonici (faglie, caldere, pieghe, etc.) che intercorrono tra i corpi rocciosi, e anche per rappresentare specifiche morfologie, risorse minerarie, località fossilifere, etc.
Le varie mappe del Vesuvio prodotte e pubblicate durante il ‘900 (edizioni 1, 2 della Carta Geologica d’Italia) documentano un approccio dove sia i prodotti piroclastici sia le lave sono distinti in base a stratigrafia, età e composizione e così rappresentati.
Le mappe degli anni 2000 (Carta geologica di Sbrana et Al., 2019 – figura 5), servendosi di strumenti scientifici e tecnici molto più avanzati, rappresentano enormi moli di dati che abbracciano l’intera storia eruttiva del vulcano e le sue interazioni con l’ambiente circostante.
Di seguito, le Carte geologiche disponibili per il Vesuvio: J.Auldio 1832, H.J. Johnston-Lavis, 1891; Fogli 183-184 Ischia-Napoli, 1967, scala 1:100000; Santacroce et al., 1987 scala 1:15000; Foglio 448, Ercolano, 2015, scala 1:50000; Sbrana et al., 2019. Per la storia eruttiva del Vesuvio si veda: Storia eruttiva del Vesuvio

Cambiamenti di narrazione, letteratura, poesia.
La lettura dei testi letterari che riguardano in qualche modo i vulcani ci porta a notare che i cambiamenti nelle mappe e nella rappresentazione dei vulcani tra ‘800 e ‘900 sono stati accompagnati da cambiamenti della loro descrizione letteraria o del modo di percepire e “sentire” i vulcani medesimi.
D.H. Lawrence, durante il suo soggiorno in prossimità dell’Etna, a Taormina, nei primi decenni del ‘900, scrive ad esempio una bellissima poesia: “Peace”. Il suo testo rivela in maniera lampante il potere di ispirazione da parte del fenomeno naturale (la lava che scorre) sul poeta ed evocando il potere di trasformazione dei vulcani sul paesaggio e la mutazione del magma in roccia solida e nera.
Qualche decennio dopo, l’ultima eruzione del Vesuvio, quella del 1944, ispira sia i testi fiammeggianti di Curzio Malaparte (La Pelle, 1949) sia quelli più asciutti e misurati di Norman Lewis (Napoli ‘44, 1978), che sono ben diversi da quanto scritto da W.Goethe centocinquant’anni prima. Per brevi approfondimenti su questi scrittori si legga la Nota 3 in fondo all’articolo.
L’evoluzione delle mappe e della rappresentazione di dati geo-vulcanologici con altri dati
Il viaggio, che ha seguito l’evoluzione della cartografia geologica dall’800 ai giorni nostri, si conclude giungendo a parlare di quelle mappe ancor più moderne che si sono affiancate alle mappe geologiche. Si tratta delle mappe geo-tematiche: mappe geomorfologiche, mappe idrogeologiche, di stabilità dei versanti, etc. Nel caso dei vulcani, il ventaglio di mappe geo-tematiche è pure ampio e fra queste possiamo citare: le mappe di pericolosità vulcanica, le mappe di risorse minerarie, le mappe geo-archeologiche, le mappe delle reti di monitoraggio, le mappe di vulnerabilità e quelle che ancora sapremo inventare…
Queste mappe, spesso realizzate in aree vulcaniche attive, hanno assunto un carattere più multidisciplinare, mirando ad abbracciare le problematiche della vulcanologia fisica e dell’interazione tra attività vulcanica e ambiente geologico circostante. Su di esse si possono visualizzare informazioni specifiche del territorio, che valicano quelle strettamente geologiche o vulcanologiche.
Fra queste, le prime ad essere prodotte sono state le mappe di pericolosità come quella del Kilauea di inizio anni ’90 e quella dell’Etna (figura 6), che rappresenta già una versione molto evoluta di questo tipo di mappe.

Una mappa geo-archeologica rappresenta un approccio di indagine multidisciplinare in cui la storia, l’archeologia e la vulcanologia si integrano, per poter comprendere gli impatti degli eventi vulcanici del passato, per stimolare la conoscenza e la consapevolezza delle aree vulcaniche attive, e per la mitigazione del rischio nel contesto dello stato attuale di vulcani attivi, come ad esempio il Vesuvio (figura 7a).
Nella mappa dei siti archeologici distribuiti sul territorio vesuviano, vengono documentati impatti locali, paesaggio antico e frammenti di vita quotidiana, rivelati dagli effetti sul territorio e sull’uomo dell’eruzione pliniana del Somma-Vesuvio del 79 AD.
Altro esempio: le mappe delle reti di monitoraggio, reti strumentali che misurano dati sismologici, geodetici e geochimici (figura 7b). Grazie a questi strumenti è possibile conoscere in tempo reale lo stato del sistema vulcanico. Si possono proiettare i risultati di simulazioni numeriche che descrivono dove potranno verificarsi possibili fenomeni eruttivi in futuro; oppure possiamo illustrare la pericolosità utilizzando stime probabilistiche, e segnalare aree in cui è pericoloso andare.
Ancora, esistono le mappe di vulnerabilità che sono un utile strumento per monitorare il territorio e per poter intervenire dove venga superata una soglia di rischio ritenuta accettabile. Il territorio vesuviano mostra elevata vulnerabilità al dissesto idrogeologico, specialmente nei settori settentrionali del Monte Somma ed in alcuni comuni costieri come Torre del Greco, Ercolano e Portici (figura 7c). Il naturale deflusso delle acque lungo i valloni è ostacolato dalle costruzioni, che nella maggior parte dei casi sono abusive. La mancanza di un concreto piano di sviluppo urbanistico e della viabilità locale che si interseca in molti punti, determinano un incremento notevole del valore della vulnerabilità dell’area.

Oggi possiamo contare su basi topografiche estremamente dettagliate, costruite con l’aiuto di droni e satelliti, che ci permettono di ricostruire non solo l’aspetto attuale dei nostri vulcani, ma anche di registrare i loro cambiamenti (ad esempio, la crescita del cratere di sud est dell’Etna e quindi la comparsa di una nuova quota sommitale per tutto l’apparato vulcanico, figura 8).

Bibliografia
Del Negro, C., Cappello, A., Neri, M., Bilotta, G., Herault, A., Ganci, G. (2013) Lava flow hazards at Mount Etna: constraints imposed by eruptive history and numerical simulations. Nature Scientific Reports, 3, 3493, p. 1-8, https://doi.org/10.1038/srep03493
Lawrence, D.H. (2002) The Complete Poems of D.H. Lawrence, The Wordsworth Poetry Library
Wright, T.L., Chun, J.Y.F. ,Esposo, J., Heliker, C., Hodge, J., Lockwood, J.P., Vogt, S.M. (1992) Map showing lava-flow hazard zones, Island of Hawaii: U.S. Geological Survey Miscellaneous Field Studies Map MF-2193, scale 1:250,000, https://pubs.usgs.gov/mf/1992/2193/.
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Nota 1: Campi Flegrei. Osservazioni sui vulcani delle Due Sicilie
Pubblicato a Napoli tra il 1776 ed il 1779, con testo inglese e francese, il celeberrimo e raffinato capolavoro figurato del XVIII sec. su Napoli, la Sicilia e i Campi Flegrei, fu concepito e realizzato attraverso la cultura e il mecenatismo di William Hamilton, ministro plenipotenziario inglese alla corte di Napoli, con il fondamentale contributo dall’arte di Pietro Fabris autore di 59 tempere, di cui alcune visibili nelle slides e relative al Vesuvio. È considerato tra i libri più belli di tutto il ‘700.
Uno scrittore di fama come Goethe – che scrive il “Viaggio in Italia” (1816-1817) – si limita invece a salire più volte sul Vesuvio, spesso in condizioni pericolose, e a riportare meraviglia e stupore o riflessioni filosofiche sul rapporto uomo/Natura, con poche pennellate di vere osservazioni geologiche.
Nota 2: La Legenda
La carta geologica – sintesi grafica di tutte le informazioni geologiche – è stata sempre accompagnata da una Legenda, essenziale per far comprendere i significati di ogni colore, linea o simbolo presenti sulla carta. Una Legenda si ritrova sia nella prima carta del Vesuvio che nell’ultimissima. La legenda fornisce una chiave di lettura della mappa, a livelli multipli. I diversi colori in Legenda indicano diversi corpi rocciosi con diverse litologie e diversa posizione stratigrafica, come le lave o i depositi piroclastici messi in posto nel corso di differenti eruzioni esplosive. L’unità litostratigrafica fondamentale è la Formazione che indica un corpo roccioso distinguibile da quelli adiacenti sulla base delle caratteristiche litologiche.
Queste Formazioni devono essere elencate procedendo dalla più giovane (in alto) alla più antica (in basso) e se esistente deve esserne indicata l’età “assoluta” (da metodi radiometrici). La litologia è di solito descritta attraverso molti caratteri, partendo (obbligatoriamente) da quelli macroscopici (tipi litologici, granulometria, colore, spessore e geometria degli strati) ed eventualmente indicando – a seconda dei casi e della opportunità – quelli tessiturali, le associazioni mineralogiche e petrografiche, le strutture primarie e secondarie, le alterazioni o mineralizzazioni presenti, etc.
Può essere importante sottolineare che son dalle prime carte La Legenda aveva una particolare attenzione ad identificare le “risorse” (es. lignite, ferro), uno dei principali obiettivi delle ricerche governative e della cartografia geologica moderna, per cui furono usati colori “speciali”.
Le carte e le legende di aree caratterizzate da sismicità, hanno una naturale e forte attenzione per gli elementi strutturali che quindi vengono distinti con maggiore dettaglio di simboli e tratti.
Nota 3: gli scrittori
W.Goethe: Libro= Viaggio in Italia, pubblicazione= Viaggio in Italia è un’opera che Johann Wolfgang von Goethe scrisse tra il 1813 e il 1817 e pubblicò in due volumi, il primo dei quali uscì nel 1816 e il secondo nel 1817. I due volumi contengono il resoconto di un Grand Tour che l’autore compì in Italia tra il 3 settembre 1786 e il 18 giugno 1788. All’età di 37 anni, Goethe (nasce a Francoforte nel 1749, muore a Weimar nel 1832) compie il suo celebre Viaggio in Italia durante il quale, fra l’altro, soggiorna a Roma per due volte. Per tutta la durata del suo grand tour egli redige un ampio diario di viaggio, e ovunque si trovi, dalle Alpi alla Sicilia, abbonda con il superlativo: tutto è per lui «incredibile», «indicibile», «splendido», «impareggiabile», il tempo è «bello oltre ogni dire», nei musei sono custodite «rarità d’ogni genere», i paesaggi presentano un’«infinita varietà di vedute», e così via descrivendo in una pienezza di sentimenti che coinvolge anche noi lettori, schiudendo allo sguardo della nostra mente visioni continue di paesaggi ricchissimi di forme e colori, sia nel dettaglio che nell’insieme. Si legga: https://www.ingv.it/it/newsletter-n-8/3753-goethe-sul-vesuvio-alla-ricerca-del-sublime
http://www.cittadellascienza.it/centrostudi/2016/03/goethe-duecento-anni-dopo/
D.H. Lawrence= “Peace”, poesia scritta (1920) nel periodo in cui furono le scritte le poesie del libro Birds, Beasts and Flowers (1923) che contiene la sua produzione durante il viaggio in Italia (Firenze, Taormina) e poi in Australia; la poesia è stata poi inserita in altre antologie dello scrittore inglese.
- Malaparte= La Pelle (1949) https://it.wikipedia.org/wiki/Curzio_Malaparte
- Lewis= Napoli ‘44 (1978). Nel libro autobiografico di questo ufficiale dell’esercito britannico, successivamente divenuto scrittore e grande narratore di viaggi, sono contenute con cadenza quasi giornaliera le descrizioni dei giorni di marzo in cui avvenne l’ultima eruzione del Vesuvio.