Gli sciami sismici di tipo “burst” e la dinamica della caldera dei Campi Flegrei
di Flora Giudicepietro
Il presente contributo si basa sui risultati di due recenti studi dedicati ai Campi Flegrei svolti in collaborazione con il CNR-IREA, pubblicati rispettivamente su Nature Communications e International Journal of Applied Earth Observation and Geoinformation . Questi lavori hanno permesso di comprendere meglio i fenomeni geofisici e geochimici che caratterizzano l’attuale stato della caldera, attraverso l’analisi di dati multiparametrici e metodologie innovative. Di conseguenza, i risultati presentati in questo articolo sono frutto del contributo congiunto di tutti gli autori di questi studi, il cui lavoro ha reso possibile le analisi e le interpretazioni qui illustrate.
L’ area vulcanica dei Campi Flegrei sta attraversando un lungo periodo di graduale intensificazione dell’attività iniziato nel 2005. In questo periodo, sono stati osservati un aumento della sismicità generale, l’’intensificazione dell’emissione di gas e un’accelerazione della deformazione del suolo” (Figura 1).

La zona di massima deformazione coincide con la parte centrale della caldera, che dal 2005 si è sollevata di circa 140 cm (Figura 1d). L’entità del sollevamento diminuisce gradualmente procedendo dal centro della caldera verso l’esterno conferendo al campo di deformazione una generale forma a campana (Figura 2).

Un recente studio, condotto da un ampio gruppo di ricercatori dell’INGV, Osservatorio Vesuviano e INGV-Sezione di Pisa, in collaborazione con l’Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente (CNR) di Napoli, ha permesso di identificare delle sequenze sismiche Vulcano-Tettoniche, caratterizzate da intervalli temporali molto brevi tra un evento sismico e l’altro, che dall’inizio del 2021 sono diventate sempre più frequenti. In particolare, tra queste sequenze sono stati riconosciuti peculiari sciami sismici noti in letteratura come “burst-like swarms“. Queste sequenze, la cui denominazione potrebbe essere tradotta come “sciami a raffica”, si distinguono per intertempi tra un evento e l’altro così brevi che i singoli terremoti risultano spesso difficilmente riconoscibili nel sismogramma (Figura 3).

Sciami sismici di questo tipo furono descritti per la prima volta nel 1990 da David Hill e colleghi nell’area di Mammoth Mountains (Stati Uniti), una zona idrotermale attiva situata in un complesso di cupole laviche lungo il bordo della caldera di Long Valley. Gli studiosi identificarono ricorrenti “burst” sismici spasmodici, ovvero sequenze di terremoti di magnitudo simile sovrapposti gli uni agli altri. In quest’area, gli sciami di tipo “burst” furono registrati nel corso di un periodo di intensa attività sismica tra il 4 maggio e il 30 settembre 1989. Durante questo periodo, si osservò un generale incremento della dinamica vulcanica caratterizzata da deformazione del suolo ed emissione di gas con danni alla vegetazione. Gli autori interpretarono questi fenomeni come il risultato di rapide variazioni della pressione nel sistema geotermico, provocate dal movimento di fluidi (gas) al di sotto del complesso vulcanico di Mammoth Mountains. Questa interpretazione si basava anche sul lavoro di un gruppo di ricercatori giapponesi, che aveva osservato sequenze sismiche simili in concomitanza con variazioni della pressione dei fluidi in alcuni campi geotermici del Giappone.
Successivamente, sequenze sismiche di questo tipo sono state descritte in altri contesti vulcanici. Ad esempio, tra gennaio e marzo del 1992, sono stati registrati sciami sismici di tipo “burst ” a White Island, in Nuova Zelanda. Questi eventi sono stati messi in relazione con la fratturazione della crosta terrestre dovuta a rapide fluttuazioni della pressione dei fluidi sotterranei. Negli anni successivi, White Island ha mostrato frequente attività vulcanica, prevalentemente di tipo freatico, con modeste esplosioni nel 1995, 1998, 2000, 2001, 2012 e 2016. L’evento più drammatico si è verificato il 9 dicembre 2019, quando una violenta esplosione freatica, avvenuta alle 14:11, ha causato la morte di 22 persone, tra cui due dispersi successivamente dichiarati deceduti. Venticinque sopravvissuti riportarono ferite gravi, molte delle quali da ustione. Una seconda esplosione seguì poco dopo la prima. Allo stesso modo, sciami sismici di tipo “burst” sono stati osservati anche nel gruppo di duomi vulcanici di Tatun, a Taiwan, nonostante questo sistema vulcanico sia considerato non più attivo, dato che l’ultima attività eruttiva risale a circa 100.000 anni fa. Anche in questo caso, gli sciami di tipo “burst “sono stati interpretati come la risposta di una rete estesa di fratture alle variazioni di pressione dovute all’iniezione di fluidi nelle rocce al di sotto del complesso vulcanico.
Più recentemente, una stretta connessione tra questo tipo di sequenze sismiche e l’attività idrotermale è stata suggerita anche per il vulcano Sinabung, in Indonesia. Dopo 400 anni di quiescenza, il Sinabung ha ripreso l’attività eruttiva nel 2010, con un periodo prolungato di eruzioni fino al 2014, caratterizzato da numerose esplosioni freatiche. In questo contesto, alcuni ricercatori hanno interpretato gli sciami di tipo “burst” come possibili precursori di esplosioni freatiche, specialmente quando registrati insieme a eventi sismici a bassa frequenza e ibridi. Inoltre, sciami sismici di tipo “burst” sono stati registrati e studiati da ricercatori giapponesi, associati all’eruzione freatica del vulcano Hakone (Giappone) avvenuta nel 2015.
Gli studi precedenti condotti su altri vulcani descritti sopra, suggeriscono che anche gli sciami di tipo “burst” dei Campi Flegrei possano essere interpretati come la risposta fragile delle rocce all’aumento della pressione dei fluidi nel sistema idrotermale. L’aumento della pressione dei fluidi nel sistema idrotermale dei Campi Flegrei è stato documentato in diversi studi. Inoltre, ci sono prove che questa variazione di pressione avviene in un contesto in cui le rocce crostali sono soggette a sforzi di trazione che determinano un regime di stress estensionale e quindi distensivo. Infatti, gli sciami sismici di tipo “burst” si verificano nell’area di Solfatara-Pisciarelli-Monte Olibano (zona A in Figura 4), che è la stessa zona sorgente di altri terremoti vulcano-tettonici, i cui meccanismi di origine (meccanismi focali) sono coerenti con un regime di stress estensionale locale. Questo regime di stress estensionale negli strati crostali più superficiali è causato da una sorgente di deformazione che si espande a profondità tra 3 e 4 km nella zona centrale della caldera e che determina il sollevamento del suolo (stella azzurra in Figura 4).

Questo fenomeno deformativo e di conseguente distensione crostale interagisce con il sistema idrotermale, che negli ultimi anni ha mostrato un significativo aumento di pressione e temperatura. Un possibile effetto di un sistema idrotermale sempre più pressurizzato, combinato con un regime di stress estensionale crescente, potrebbe essere un aumento della permeabilità della roccia. Ciò favorirebbe ulteriormente l’emissione di gas e la rapida circolazione di fluidi caldi negli strati crostali più superficiali. In questo scenario, la circolazione accelerata di fluidi caldi potrebbe predisporre il sistema all’attività freatica, e la presenza di sciami di tipo “burst” potrebbe rappresentare un segnale di questa possibile evoluzione nell’area di Solfatara-Pisciarelli. Tuttavia, questa considerazione rimane un’ipotesi, in quanto anche altri fattori, influenzano la probabilità di innesco delle esplosioni freatiche. Perciò per valutare questa ipotesi, saranno necessarie ulteriori ricerche e approfondimenti.
Il regime di stress estensionale interagisce anche con le caratteristiche geologiche dell’area di Monte Olibano, che presenta forti variazioni litologiche tra corpi lavici e rocce piroclastiche, ed è caratterizzata da numerose faglie che contribuiscono alla sismicità locale. Questa interazione determina un comportamento non uniforme del settore di Monte Olibano, che risponde in modo anelastico alla generale inflazione della caldera, causando una subsidenza relativa localizzata (Figura 4 – vedi stella magenta – e Figura 5).
In generale, nell’attuale fase di attività dei Campi Flegrei, la distribuzione dei terremoti e le caratteristiche delle sequenze sismiche indicano una stretta interconnessione tra fenomeni geodetici, idrotermali e sismici. Questi processi sono controllati dalla principale sorgente di deformazione situata al centro della caldera. Infatti, la sismicità generale della caldera si distribuisce su un’ellisse (vedi le due ellissi tratteggiate blu in Figura 4), lungo il perimetro della deformazione a forma di campana, dove c’è la flessione che raccorda la parte centrale della caldera, altamente deformata, e la regione esterna che subisce una deformazione meno intensa. Gli sciami “burst-like” sono localizzati in un settore di questa distribuzione ellittica di terremoti, in corrispondenza dell’area idrotermale di Solfatara-Pisciarelli (zona A in Figura 4) e in prossimità dell’anomalia geodetica di Monte Olibano (Figura 5).

Per caratterizzare in modo più dettagliato l’anomalia geodetica, abbiamo, quindi, calcolato la serie temporale giornaliera del deficit di sollevamento nell’area di Monte Olibano (linea azzurra nel pannello “a” di Figura 6). Questo risultato è stato ottenuto grazie all’elevata frequenza di acquisizione dei dati della rete GNSS dell’INGV-OV. Un aspetto significativo è che questo deficit di sollevamento, dovuto a una minore velocità di sollevamento dell’area di Monte Olibano rispetto alle aree circostanti, evolve in modo simile alla sismicità e mostra una relazione lineare con il numero cumulativo di terremoti. Tale relazione suggerisce che il deficit di sollevamento possa essere un valido indicatore della risposta anelastica di questa porzione della caldera al processo di deformazione in atto. Interpretiamo questa relazione come il risultato delle caratteristiche meccaniche della roccia crostale, che in questa zona inizia a deviare dal comportamento elastico quando sottoposta a deformazione.

Infine, dobbiamo ricordare che l’area ad est del centro storico di Pozzuoli ha sempre mostrato in modo più evidente i segnali della dinamica in atto nella caldera. Questo avviene perché ospita le principali manifestazioni idrotermali, rappresentate dai campi fumarolici di Solfatara e Pisciarelli, ed è caratterizzata da una significativa eterogeneità litologica. Qui, infatti, si trovano affioramenti di lave, che sono piuttosto rare nei Campi Flegrei, dove invece prevalgono rocce di origine piroclastica come tufi e depositi sciolti. Tuttavia, anche se i fenomeni misurabili in quest’area risultano più evidenti (terremoti, anomalia nella deformazione del suolo, emissione di fluidi), essi rappresentano comunque indicatori di una dinamica che interessa l’intera caldera dei Campi Flegrei. Questo significa che le variazioni osservate in questa zona sono parte di un processo più ampio, che coinvolge l’intero sistema vulcanico.
Bibliografia
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