Accadde oggi: l’eruzione pliniana del vulcano Santamaria, Guatemala, del 24 Ottobre 1902

di Gianfilippo De Astis

Alla ricerca di “cosa vedere in Guatemala”, è piuttosto facile trovare foto panoramiche che spaziano su un gran numero di vulcani vicinissimi l’uno all’altro, invitando i turisti a visitarli come attrazioni uniche. Antigua, la capitale, è circondata da ben tre vulcani e l’intero Paese ne conta almeno 37, di cui 23 attivi negli ultimi 10000 anni (figura 1). Fra questi, tre hanno attività eruttive molto frequenti – il Volcan de Fuego, il Pacaya e il Santa Maria/Santiaguito – e per questo li vediamo apparire spesso nei bollettini riassuntivi del Global Volcanism Program dello Smithsonian Institution che dal 1968 documenta e diffonde informazioni sull’attività vulcanica globale e in quelli dell’ INSIVUMEH (Instituto Nacional de Sismología, Vulcanología, Meteorología e Hidrología), l’istituto scientifico guatemalteco che opera nel campo della geofisica, omologo dell’INGV.

Figura 1 - Mappa dei vulcani guatemaltechi. Nella mappa sono indicati in verde i vulcani inattivi (18), mentre i vulcani attivi e potenzialmente attivi sono mostrati con colori diversi per identificare le loro posizioni nella classifica. I tre vulcani in continua attività sono: Santa Maria/Santiaguito (A), Fuego (B) e Pacaya (C). Immagine tratta da Volcano observatories and monitoring activities in Guatemala.
Figura 1 – Mappa dei vulcani guatemaltechi. Nella mappa sono indicati in verde i vulcani inattivi (18), mentre i vulcani attivi e potenzialmente attivi sono mostrati con colori diversi per identificare le loro posizioni nella classifica. I tre vulcani in continua attività sono: Santa Maria/Santiaguito (A), Fuego (B) e Pacaya (C). Immagine tratta da Volcano observatories and monitoring activities in Guatemala.

L’ultimo del terzetto dei vulcani citati, el volcàn Santa Maria, è uno stratovulcano di quasi 3.800 metri di altezza (figura 2) che si trova a W-NW della capitale, nei pressi della città di Quetzaltenango, letteralmente “il posto del quetzal”, ossia di quel coloratissimo uccello venerato da Maya e Aztechi ed usato come simbolo del Paese perché “preferisce morire di fame piuttosto che vivere prigioniero”: il quetzal simboleggia la libertà.

Figura 2 - Il vulcano Santa María si è formato a partire da circa 30.000 anni fa. La devastante eruzione del 1902 (VEI 6) ha creato il grande cratere sul fianco SW visibile nella parte ombreggiata a sinistra della vetta. L’attività recente è caratterizzata dalla continua attività del complesso di duomi lavici di Santiaguito (a sinistra) all’interno del cratere dal 1922. Fotografia di Lee Siebert, 1988 (Smithsonian Institute).
Figura 2 – Il vulcano Santa María si è formato a partire da circa 30.000 anni fa. La devastante eruzione del 1902 (VEI 6) ha creato il grande cratere sul fianco SW visibile nella parte ombreggiata a sinistra della vetta. L’attività recente è caratterizzata dalla continua attività del complesso di duomi lavici di Santiaguito (a sinistra) all’interno del cratere dal 1922. Fotografia di Lee Siebert, 1988 (Smithsonian Institute).

Gli eventi

Tra il 24 e il 25 ottobre del 1902, dopo almeno 500 anni di quiete e preceduto da alcuni importanti terremoti, il vulcano Santa Maria rientrò in attività con una catastrofica eruzione pliniana, annoverata fra quelle a più alta energia avvenute sul Pianeta negli ultimi 300 anni. Vale qui la pena ricordare che l’anno 1902 registrò altre due violente eruzioni nei vicini Caraibi: quelle dei vulcani La Soufriere a St. Vincent (7 maggio) e Pelèe in Martinica (8 maggio), quest’ultima tristemente famosa per le sue circa 25000 vittime.

Aldilà delle classifiche planetarie, l’eruzione del 1902 è senz’altro la più grande eruzione storica avvenuta in Guatemala ed è stata raccontata da numerosi testimoni oculari, e anche da alcuni geologi (e.g. Karl Sapper), che indicano il suo inizio all’incirca alle 5 del pomeriggio del 24 ottobre, con esplosioni dal fianco sudoccidentale dell’aguzzo cono vulcanico. Furono pure numerosi i reportage e gli articoli dei giornali sudamericani e spagnoli su questo evento – El Correo Español, El Imparcial, El País, El Popular, La Voz de México, solo per citarne alcuni – mentre tra novembre e dicembre, The San Francisco Call gli dedicò ben 6 articoli, anche perché fu riportato che la cenere di una delle numerose esplosioni di quella lunga sequenza eruttiva fosse giunta in California, proprio a San Francisco, circa 4.000 km a NW del vulcano guatemalteco.

Testimonianze oculari certe e cronache storiche di quell’ottobre 1902 riportano che l’eruzione andò intensificandosi in serata, con impressionanti tempeste elettriche, ma raggiunse il suo acme la mattina del giorno successivo, verso le 11.

Sin dal primo mattino del 25 ottobre fu osservato un progressivo sollevamento della colonna eruttiva e le osservazioni condotte da alcune navi in navigazione nel Pacifico riportarono stime della sua altezza variabili tra 28 e 48 km (una stima largamente accettata oggi è quella di una colonna eruttiva alta circa 34 km). Anche le stime del volume di depositi eruttati, in base a varie mappe delle isopache e altri metodi di valutazione (metodo della concentrazione dei cristalli), sono variabili tra 4.3 e 11.4 km3 con punte di 20.2 e 27 km3 (figura 3).

Figura 3 - Mappa delle isopache del deposito pliniano da caduta dell’eruzione del vulcano Santa Maria nel 1902; nel riquadro, i dettagli degli spessori del deposito vicino al vulcano (da Williams & Self, 1983).
Figura 3 – Mappa delle isopache del deposito pliniano da caduta dell’eruzione del vulcano Santa Maria nel 1902; nel riquadro, i dettagli degli spessori del deposito vicino al vulcano (da Williams & Self, 1983).

L’intensa attività eruttiva inoltre fece sperimentare ai residenti delle regioni prossimali situate a W-SW del vulcano un’oscurità quasi totale durata fino a 72 ore; anche il fragore dell’eruzione fu udito a distanze incredibili: rotumbos! da Mexico City (quasi 1000 km a NW!) fino al Costarica. Tuttavia, l’effetto più devastante di questa eruzione sul sistema vulcanico è legato al collasso di parte del fianco SW del vulcano, che espose una sezione di circa 240 m dell’interno del cono (figura 4). Oggi su questo fianco, alla base del cratere del 1902, è presente il duomo di lava (dacitica) del Santiaguito, che in effetti è un complesso di più duomi lavici sovrapposti formatosi a partire da giugno del 1922, 20 anni dopo l’eruzione pliniana di cui stiamo raccontando.

Figura 4 - Fotografia del cratere del vulcano Santa Maria dopo l’esplosione del 24 Ottobre 1902, con il duomo del Santiaguito cresciuto alla sua base, in attività (fotografo anonimo).
Figura 4 – Fotografia del cratere del vulcano Santa Maria dopo l’esplosione del 24 ottobre 1902, con il duomo del Santiaguito cresciuto alla sua base, in attività (fotografo anonimo).

La bocca più recente del Santiaguito ha prodotto il cosiddetto “Duomo Caliente”, la cui attività consiste in lente estrusioni di lava che periodicamente alimentano colate laviche molto viscose o flussi piroclastici legati a collassi più o meno estesi del duomo (figura 5). Per esempio, il collasso parziale del Santiaguito nel 1929 generò un flusso piroclastico di questo tipo che percorse più di 10 km verso sud e causò molte centinaia di morti. Negli ultimi anni, i rischi maggiori vengono dalle colate di fango (lahars secondari).

Figura 5 - La cupola lavica di Santiaguito, nel dicembre 1993 dalla vetta di Santa María. Periodi episodici di maggiore crescita si sono verificati da diverse bocche eruttive del complesso di duomi lavici. La bocca del Caliente è parzialmente visibile all'estrema sinistra, con le bocche La Mitad, El Monje e El Brujo situate più a ovest lungo la cresta di Santiaguito lunga 3 km. Fotografia di Lee Siebert, 1993 (Smithsonian Institute).
Figura 5 – La cupola lavica di Santiaguito, nel dicembre 1993 dalla vetta di Santa María. Periodi episodici di maggiore crescita si sono verificati da diverse bocche eruttive del complesso di duomi lavici. La bocca del Caliente è parzialmente visibile all’estrema sinistra, con le bocche La Mitad, El Monje e El Brujo situate più a ovest lungo la cresta di Santiaguito lunga 3 km. Fotografia di Lee Siebert, 1993 (Smithsonian Institute).

Il costo reale dell’eruzione pliniana del Santa María in termini di vite umane è sconosciuto e non è mai stato pubblicato un bilancio ufficiale delle vittime. I testimoni dell’epoca raccontarono di oltre 2000 vittime, mentre le pubblicazioni scientifiche recenti scrivono di 4500–5000 vittime, con punte fino a 13000. Benché la fase parossistica dell’eruzione fu raggiunta rapidamente, l’attività eruttiva del Santa Maria continuò poi fino al gennaio del 1903, con una serie di esplosioni minori.

Figura 6 - Fotografia di un paesaggio nei pressi del vulcano Santa Maria in seguito all’eruzione pliniana del  1902 (credits F. M. Cardenas, pubblicata originariamente da K. Sapper nel 1927).
Figura 6 – Fotografia di un paesaggio nei pressi del vulcano Santa Maria in seguito all’eruzione pliniana del 1902 (credits F. M. Cardenas, pubblicata originariamente da K. Sapper nel 1927).

Alla luce dei pericoli che il Santa Maria pone tuttora alle popolazioni che vi abitano in prossimità, il vulcano è entrato a far parte dei cosiddetti “Decade Volcanoes”, una lista di 16 vulcani identificati dalla IAVCEI come obiettivi di studi particolari e approfonditi da parte dei vulcanologi, al fine di mitigare eventuali i loro futuri disastri naturali (fra questi anche i nostri Etna e Vesuvio).


Bibliografia
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Roca, A., Mérida Boogher, E. R., Chun Quinillo, C. M. F., González Domínguez, D. M. E., Chigna Marroquin, G. A., Juárez Cacao, F. J. and Argueta Ordoñez, P. D. (2021) “Volcano observatories and monitoring activities in Guatemala”, Volcanica, 4(S1), pp. 203–222. doi: 10.30909/vol.04.S1.203222.
W.I. Rose Jr. (1972). Notes on the 1902 eruption of Santa María volcano, Guatemala. Bull. Volcanol. 36 (1), 29–45. https://doi.org/10.1007/BF02596981.
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Siebert, T. Simkin, P. Kimberly (2010). Volcanoes of the World. University of California Press, Berkeley.
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