I cristalli che raccontano la storia dei magmi
di Carlo Pelullo
Non è facile comprendere cosa succede nel profondo della Terra, ancor meno capire quali processi avvengono nelle camere magmatiche, processi spesso in grado di innescare le eruzioni vulcaniche. Ad esempio, è noto che l’immissione di nuovo magma in una camera magmatica e il seguente mescolamento con il magma preesistente può destabilizzare il sistema magmatico ed alterarne le condizioni fisiche e chimiche: questi cambiamenti possono essere registrati da alcuni minerali “magmatici”, che si formano cioè per effetto della differenziazione dei magmi, comunemente rinvenuti all’interno di rocce e depositi vulcanici (Figura 1).

Per comprendere i processi che avvengono nelle camere magmatiche ci viene in aiuto lo studio dei minerali zonati. Alcuni minerali presenti nelle rocce vulcaniche, come i pirosseni e i feldspati (figura 1), possono presentare una zonatura, sono cioè suddivisi, dal centro ai bordi, in zone (bande), spesso concentriche, riconoscibili al microscopio ottico in sezioni sottili di campioni di rocce vulcaniche poiché caratterizzate da variazioni di colore (Figura 2). Ogni banda ha una composizione chimica diversa da quella delle bande limitrofe. Le zonature riflettono dunque variazioni nella composizione chimica dei minerali, che dipendono dalla composizione chimica, dalla temperatura del magma e dalla profondità in cui si sono formati. Lo studio dei cristalli zonati permette quindi di ricostruire la crescita dei minerali sotto diverse condizioni chimico-fisiche (temperatura, pressione e composizione chimica) e di indagare i processi magmatici che precedono le eruzioni.

Prima di risalire in superficie e dar luogo a forti eruzioni esplosive, grandi volumi di magma possono accumularsi in serbatoi crostali poco profondi per lunghi periodi di tempo. Tuttavia, la rapidità con cui un grande volume di magma può accumularsi, il suo tempo di permanenza prima di un’eruzione ed il tempo dei processi di mescolamento tra magmi prima dell’innesco di un’eruzione sono ancora poco conosciuti. Queste informazioni sono estremamente importanti per comprendere le dinamiche dei vulcani attivi e potenzialmente pericolosi in aree densamente popolate come la regione Campania e in particolare l’area napoletana.
Recentemente sono state sviluppate nuove metodologie che hanno reso concreta la possibilità di effettuare l’analisi chimica ad alta precisione di elementi maggiori e in tracce sulle diverse bande dei minerali zonati con un’elevata risoluzione spaziale. Questo tipo di analisi si avvale di strumenti come la microsonda elettronica e tecniche come l’ablazione laser (laser ablation). A partire dalle variazioni chimiche identificate lungo le diverse bande dei cristalli zonati si possono ottenere informazioni sulla durata dei processi magmatici attraverso la cronometria per diffusione (diffusion chronometry). La cronometria per diffusione consiste nell’applicare ai minerali zonati modelli matematici basati sulle leggi della diffusione di elementi chimici (come ferro–magnesio nei pirosseni e bario, stronzio e magnesio nei feldspati), tra un magma ed una fase cristallina (Figura 3).

Alcuni ricercatori dell’INGV, dell’Università di Napoli Federico II, della Sorbonne Université di Parigi, della Ruhr-Universität di Bochum (Germania) e della Georg-August-Universität di Göttingen (Germania), nell’ambito del progetto TIFEHO, del progetto Timing of Magmatic Processes – DAAD Short-Term Grants, 2019 (57442045) e del progetto N° Wo 362/42-1 – German Research Foundation, stanno investigando le scale temporali dei processi magmatici che hanno preceduto – e che possono aver innescato – alcune eruzioni vulcaniche avvenute ai Campi Flegrei e all’isola di Ischia. La cronometria per diffusione è stata applicata a pirosseni e feldspati zonati rinvenuti all’interno dei prodotti vulcanici eruttati durante le grandi eruzioni esplosive dell’Ignimbrite Campana (40.000 anni fa) e di Agnano-Monte Spina (circa 4.500 anni fa), ai Campi Flegrei, e nel corso dell’eruzione effusiva a bassa energia di Zaro (6.000 anni fa), ad Ischia. Lo studio delle diverse composizioni chimiche dei minerali zonati ha fornito utili informazioni sui processi pre-eruttivi e sui tempi in cui si sono verificati i processi magmatici che hanno creato la zonatura nei minerali.
La ricerca ha evidenziato per ognuna delle diverse eruzioni sopra citate la coesistenza di almeno due composizioni chimiche prevalenti, associabili a diversi tipi di magma: ciascuna di queste eruzioni potrebbe quindi essere stata alimentata da almeno due diversi tipi di magma. Per l’eruzione dell’Ignimbrite Campana il processo di immissione di nuovo magma è durato centinaia di anni prima dell’evento, mentre per l’eruzione di Agnano-Monte Spina i tempi sono dell’ordine delle decine di anni (Figura 3). Il processo di mescolamento “registrato” nella stratigrafia chimica dei cristalli di pirosseno appartenenti ai prodotti dell’eruzione di Zaro è invece durato poche decine di anni.
Sono attualmente in corso studi sui tempi dei processi magmatici che hanno preceduto le eruzioni pliniane del Tufo Verde del Monte Epomeo (56.000 anni fa) ed eruzioni precedenti, a Ischia . Anche in questo caso, lo studio dei cristalli zonati ha evidenziato come queste eruzioni siano state alimentate da magmi diversi che si sono mescolati prima degli eventi eruttivi.
La ricerca in ambito vulcanologico, attraverso lo studio dei cristalli zonati, permette dunque di decifrare “la storia dei magmi” e di conoscere la tempistica delle dinamiche pre-eruttive dei sistemi magmatici. Tale conoscenza è fondamentale anche per migliorare l’interpretazione dei segnali di monitoraggio, oltre che per prevedere il comportamento di un vulcano a medio e lungo termine, in particolare, in aree, come quella napoletana, ad elevato rischio vulcanico.
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