La fortuna dei dati sbagliati

Le eruzioni dei vulcani italiani rappresentate su mappe e affreschi

di Lisetta Giacomelli e Roberto Scandone 

Amo le mappe perché dicono bugie.
Perché sbarrano il passo a verità aggressive.
Perché con indulgenza e buon umore
sul tavolo mi dispongono un mondo
che non è di questo mondo.

(Wislawa Szymborska, premio Nobel per la Letteratura 1996)

Nel 1545, Giacomo Gastaldi illustrò il libro di Francesco Maurolico, Descrittione dell’isola di Sicilia, con una bella mappa dell’isola siciliana e di quelle minori che la circondano (Figura 1). Forse per una distrazione dell’artista, una delle Eolie, Filicudi, indicata come Felicur, ha sulla cima un pennacchio, simile a quello che caratterizza, nella stessa mappa, Vulcano e Etna. L’attività dell’Etna può essere un riferimento all’eruzione del 1536, quella di Vulcano appare come una debole attività fumarolica, forse successiva a una forte eruzione riportata nel 1444 da Tommaso Fazello e negli Annales omnium temporum di Pietro Ranzano. Oltre a essere l’informazione su Vulcano non del tutto attendibile, l’evento era comunque troppo lontano nel tempo per essere adeguatamente ricordato dal cartografo. Infine, Filicudi, di cui non si conoscono eruzioni in epoca storica ma che, nella mappa, ha un pennacchio sulla vetta, per quanto impreciso, non confondibile con un castello (che non c’è e non c’era) o con un’altra connotazione morfologica.

Figura 1 – Mappa della Sicilia di Giacomo Gastaldi, disegnata nel 1545. Per la prima volta compare, con Etna e Vulcano, anche Filicudi in attività.

 

Gastaldi doveva essere un’autorità in materia, tanto che quando nel 1553 il fiammingo Hieronimus Cock disegnò la sua Nova et Exactissima Insulae Siciliae descriptio (Figura 2), non si fece scrupolo di controllare se Filicudi fosse un vulcano attivo. Non solo si fidò ciecamente del predecessore e attribuì all’isola una bella eruzione, ma sbagliò anche nel collocare Randazzo e Linguaglossa rispetto all’Etna, peraltro correttamente disegnato in attività. A quei tempi, la distanza fisica tra l’autore e la regione siciliana era più impegnativa di oggi, le notizie circolavano meno facilmente e verificare di persona lo stato dei vulcani poteva essere un’impresa. 

Figura 2 – Mappa della Sicilia di Hieronimus Cock del 1553. Deriva probabilmente da quella di Gastaldi e, come quella, riporta Filicudi in attività (da Valerio, 2012).

 

Ben convinto delle proprie opinioni, Gastaldi traccia, nel 1561, una carta dell’Italia, Sicilia e isole minori comprese (Figura 3). Oltre a Etna, Vulcano e Stromboli, anche Filicudi presenta un nitido pennacchio eruttivo. Un isolotto vicino a Stromboli, anch’esso in attività, è denominato Vulcanello (dovrebbe trattarsi di Strombolicchio) ma, per non sbagliare, un possibile Vulcanello viene riportato anche nella posizione corretta, vicino a Vulcano, benché separato da questo, come poteva essere all’epoca. In seguito, i prodotti delle eruzioni creeranno un istmo tra i crateri di Vulcanello e l’isola principale. Del Vesuvio, quiescente all’epoca da lungo tempo, non vi è traccia.

Figura 3 – Mappa dell’Italia di Giacomo Gastaldi, pubblicata nel 1561. Sono attivi Etna, Vulcano, Stromboli e Filicudi (da Bifolco e Ronca, 2014).

 

Era stato più rigoroso il geografo arabo El Idrisi quando, nel 1154, aveva disegnato una Sicilia rovesciata, con il Nord in basso, decorando le vette di Etna e Vulcano con vigorose fiamme stilizzate di colore rosso acceso (Figura 4). Interessanti i nomi: quello dell’Etna era Gebel al Nar (montagna di fuoco) e Vulcano era Geriza al Burkan (isola vulcano), con l’aggiunta di Gebel al Nar, come a voler indicare senza incertezze un’isola vulcanica. El Idrisi riporta anche un Gebel al Nar tra Napoli e Stabia, impossibile da raggiungere perché lancia fuoco e pietre. Questo burkan altro non era che il Vesuvio, e le fiamme potevano essere quelle dell’eruzione del 1139, probabilmente l’ultima avvenuta prima del lungo riposo conclusosi nel 1631.

Figura 4 – Mappa della Sicilia di El Idrisi, con il Nord verso il basso. Sono attivi Etna e Vulcano (tratta dal manoscritto arabo 2221 della Biblioteca Nazionale di Francia). La figura in basso riporta i nomi traslitterati con caratteri latini. 

 

Il geografo Tolomeo non corredò di mappe i suoi manoscritti e le poche che furono ricavate dalle sue descrizioni ignorarono i vulcani italiani. Solo nel 1397 l’opera tolemaica arriverà in Italia e sarà tradotta in latino dal bizantino Manuel Crisoloras e da Jacopo Angeli della Scarperia. Dalla traduzione presero il via diverse rappresentazioni del territorio italiano, tra cui quella di Enrico Martello (circa 1470) che, in una singolare prospettiva Est-Ovest, riporta fiamme sulla cima di Etna, Vulcano e Stromboli (Figura 5). Nessuna attività su Ischia e al Vesuvio, entrambi in fase di quiescenza in quel periodo. Anche in un’altra opera di Enrico Martello, Insularium Illustratum, Mos Gibel (Etna), Wlcano (Vulcano) e Strongoli (Stromboli) sono in piena attività. Martello sembra ispirarsi al Liber Insularum Arcipelagi che il monaco Cristoforo Buondelmonti aveva dedicato al cardinale Niccolò Orsini e che nell’edizione del 1430 riportava attivi Stromboli, Vulcano e Etna.

Figura 5 – Due mappe di Enrico Martello, derivate dalle descrizioni di Tolomeo: l’Italia meridionale e la Sicilia con Etna, Vulcano e Stromboli in attività (da Borri, 2014 e dal manoscritto 15760 della British Library). 

 

L’avvento della stampa ebbe un effetto dirompente sulla diffusione dei libri e anche sulla cartografia. Numerose copie dell’opera tolemaica furono stampate in Italia e corredate di mappe. Nel 1482 Nicolò Todesco (Germanicus) inserisce nella sua riproduzione dell’Italia meridionale solo Gibilmons (Etna) in attività (Figura 6).

Figura 6 – La mappa di Nicolò Germanico del 1482, con il solo Etna in eruzione (da Borri, 2014).

 

L’eruzione di Monte Nuovo, nei Campi Flegrei, avvenuta nel 1538, fece grande scalpore e, fra le tante descrizioni contemporanee all’evento (Marchesino, Maestro del Trabocchetto), quella di Delli Falconi presenta anche una dettagliata immagine con importanti riferimenti alla morfologia, con il limite del mare che indica un netto sollevamento del suolo prima dell’eruzione (Figura 7). 

Figura 7 – Mappa di Pozzuoli durante l’eruzione di Monte Nuovo del 1538 (da Delli Falconi, 1538). 

 

Tornando alle mappe siciliane, quella prodotta da Gastaldi nel 1545 e quella del 1561, non solo riportavano un’arbitraria attività su Filicudi, ma confondevano anche Vulcanello con Strombolicchio, quest’ultimo descritto in attività, mentre non vi sono notizie, né prove, che lo sia mai stato in epoca storica. Queste macroscopiche inesattezze sull’attività dell’arco eoliano vengono riprese da molte mappe successive, fino a che Paolo Cagno, nel 1582, disegna la mappa del regno di Napoli, con Stromboli e Vulcano attivi, mentre Filicudi è perfettamente in quiete (Figura 8). 

Figura 8 – Mappa di Paolo Cagno del 1582, con Vulcano e Stromboli in attività (da Oliva, 2020).

 

Nel 1613, la mappa di Cartaro e Stigliola (Figura 9) indica attivo solo Stromboli e traccia il caratteristico profilo del Vesuvio verde e senza attività. Giovanni Antonio Magini, nella prima metà del 1600, apporta notevoli miglioramenti alla rappresentazione cartografica, illustrando Etna e Stromboli in eruzione, forse anche Vulcano, ma il bordo del foglio su cui è disegnato non è ben conservato. Filicudi si conferma finalmente senza alcun cenno di attività. Il Vesuvio, ancora lontano dal suo risveglio del 1631, viene ignorato. 

Figura 9 – Particolare della mappa Cartaro-Stigliola del 1613. Il Vesuvio è disegnato con cura e in quiescenza prima del 1631 (dalla Biblioteca Nazionale di Napoli).

 

L’epoca delle grandi scoperte geografiche coincide con la moda di rappresentare le nuove terre sulle pareti di castelli e ville. Queste rappresentazioni non sono molte perché i grandi saloni da affrescare erano privilegio di un ristretto numero di famiglie. In Italia si trovano a Firenze (Palazzo Vecchio), Caprarola (Villa Farnese), Parma (Convento dei Benedettini), a Roma (Musei Vaticani) e a Castelfusano, nei pressi di Roma (Villa Sacchetti-Chigi). Gli artisti chiamati a decorare le sontuose gallerie con mappe geografiche non poterono fare altro che ispirarsi, per il territorio italiano, a quanti avevano affrontato in precedenza l’argomento, cioè, si direbbe oggi, rifacendosi alla bibliografia esistente. Le imprecisioni delle mappe su carta si sommarono così agli errori di quelle su parete. Le eruzioni appaiono e scompaiono, le informazioni risentono del luogo di provenienza dei singoli artisti, più o meno vicini a quelli da rappresentare, i rifacimenti dopo il lavoro iniziale completano la difficoltà del quadro interpretativo dell’opera.

Il ciclo dipinto a Palazzo Vecchio è il più antico. Iniziato nel 1563 da Egnatio Danti (Figure 10 e 11), venne completato nel 1588 da Stefano Bonsignori, dopo l’allontanamento del Danti sospettato di eresia per aver rielaborato e proposto la correzione del calendario giuliano. Tra le 53 mappe che decorano le ante di un armadio guardaroba, quella dell’Italia, scopiazzata dalle carte di Giacomo Gastaldi, venne fatta nel 1578. La rappresentazione, di grande impatto decorativo, tiene conto solo dell’Etna, in eruzione, mentre trascura ogni dettaglio sull’arco eoliano e sui vulcani campani. 

Figura 10 – Mappa d’Italia dalle ante del guardaroba di Palazzo Vecchio a Firenze. Solo l’Etna è disegnato in attività. (da Cecchi e Pacetti, 2008).

 

Nella Sala del Mappamondo della Villa del Cardinale Alessandro Farnese a Caprarola, dipinta tra il 1559 e il 1574, sono rappresentati tutti i territori allora conosciuti (Figura 12). Anche in questo caso, l’Italia si rifà in gran parte alle carte di Gastaldi, pur trascurando dettagli sulle Eolie e mostrando in attività solo l’Etna.

Figura 12 – Particolare della mappa della Sicilia, con l’Etna in eruzione, nella Villa Farnese di Caprarola (foto degli autori).

 

Nel 1574 viene commissionata dall’abate Stefano Cattaneo la decorazione della biblioteca dell’Abbazia di S. Giovanni Evangelista a Parma (Figura 13). I due autori, Giovanni Antonio Paganino e Ercole Pio si concentrano in particolare sui territori della Terra Santa e sull’Italia, che copiano da Gastaldi, ingrandendo l’originale di sette volte, dimensione che non consente di inserire tutta la Sicilia. Nessuna tra le isole Eolie ha segno di attività.

Figura 13 – Carta dell’Italia dipinta nel 1574 sulla parete della biblioteca dell’Abbazia di S. Giovanni Evangelista a Parma (foto degli autori).

 

Le mappe geografiche più famose sono quelle che decorano le tre logge del palazzo Vaticano a Roma. Sulla terza loggia si trovano le più antiche, eseguite tra il 1559 e il 1565, con papa Pio IV, e ultimate tra il 1572 e il 1585, da papa Gregorio XIII. Benché danneggiate e restaurate più volte, anche in queste opere si riconosce la derivazione dalle due carte di Gastaldi, ma non riportano vulcani in attività. In un secondo tempo, papa Gregorio XIII fece decorare la Grande Galleria delle Carte Geografiche da Egnatio Danti, lo stesso che aveva diretto i lavori, ma aveva completato solo 30 delle 57 mappe di Palazzo Vecchio in Firenze, in quanto esonerato dall’incarico e indagato dall’Inquisizione (successivamente su incarico del Papa fece parte della commissione incaricata di riformare il calendario che prese il nome da Gregorio).

Tra il 1580 e il 1581, furono eseguite nella loggia vaticana 32 grandi mappe e 8 piccole: da Nord a Sud, sulla parete di destra le regioni tirreniche e sull’opposta quelle adriatiche. Le mappe furono restaurate più volte, ma quella della Sicilia (figura 14), dipinta da Danti con il Sud verso l’alto, ebbe meno interventi di altre e ricorda particolarmente la carta di Gastaldi del 1545. Infatti, non smentisce l’originale cui si ispira e, con Etna e Vulcano, riappare in attività Filicudi, mentre manca Stromboli.

Figura 14 – Mappa della Sicilia nella Galleria delle Carte Geografiche dei Musei Vaticani, ricavata da quella di Gastaldi del 1545. Il Nord è verso il basso. Si vedono Etna, Vulcano e Filicudi in attività (foto degli autori).

 

La figura della Campania venne restaurata nel 1626-28 (Figura 15). Il Vesuvio è riportato correttamente, ma senza segni di attività, a conferma che i restauri avvennero prima della violenta eruzione del 1631.

Figura 15 – Mappa della Campania nella Galleria delle Carte Geografiche dei Musei Vaticani. Nel dettaglio, si nota il Vesuvio privo di attività (foto degli autori).

 

Il ciclo pittorico dei Musei Vaticani è completato da due carte dell’Italia Nova (Figura 16) e dell’Italia Antiqua (Figura 17), rifatte e aggiornate nel 1632 dal cartografo Luca Holstenio. La prima ritrae in attività Stromboli e Vulcano, ma non Filicudi, mentre in Campania, risalta il Vesuvio in eruzione, chiaro riferimento al disastroso evento del 1631. Nell’Italia Antiqua sono ripetuti Stromboli, Vulcano e Vesuvio in attività. Vi è inoltre disegnata, ai piedi del Vesuvio, Pompei, probabilmente per richiamare l’eruzione del 79 d.C. che la distrusse. La cosa singolare è che al tempo sia del dipinto che del restauro, la posizione di Pompei era ancora sconosciuta.

Figura 16 – Mappa dell’Italia Nova nella Galleria delle Carte Geografiche dei Musei Vaticani. Nel dettaglio, il Vesuvio in eruzione e, nelle Eolie, attivi Vulcano e Stromboli, mentre scompare l’attività di Filicudi (foto degli autori).

 

Figura 17 – Mappa dell’Italia Antiqua nella Galleria delle Carte Geografiche dei Musei Vaticani. Nel dettaglio, il Vesuvio in eruzione e Pompei ai suoi piedi. Nelle Eolie, sono attivi Vulcano e Stromboli, mentre scompare l’attività di Filicudi (foto degli autori).

 

Gli affreschi con carte geografiche più recenti si trovano nella galleria della Villa Sacchetti-Chigi di Castelfusano (Figura 18). L’edificio, acquistato con l’annesso castello dalla famiglia Sacchetti nel 1620, venne arricchito di decorazioni tra il 1626 e il 1631. A sovrintendere i lavori fu chiamato il pittore Pietro da Cortona. Ed ecco riapparire un netto richiamo alla carta di Gastaldi del 1545: insieme a Vulcano e Stromboli, Filicudi, la più tranquilla delle isole Eolie, è dipinta ancora una volta con una bella eruzione.

Figura 18 – Mappa della Sicilia nella Villa Sacchetti-Chigi di Castelfusano. Sono indicati in attività Etna, Vulcano e Filicudi (foto degli autori).

 

Vulcano presenta una violenta attività (Figura 19), presumibilmente ispirata dall’eruzione del 1626, mentre il Vesuvio non ha segni di eruzione, a conferma che anche questo affresco venne ultimato prima del 1631. 

In conclusione, tra Medioevo e Rinascimento, Etna, Vulcano e Stromboli sono riportati quasi sempre come erano, cioè costantemente attivi. Il primo riferimento all’attività del Vesuvio, praticamente scomparso da ogni riferimento geografico durante la sua prolungata fase di quiescenza, si trova sulle pareti ridipinte nel 1632 nei Musei Vaticani, in accordo con il ritorno in attività nel 1631. L’errore di Gastaldi su Filicudi viene corretto solo nelle mappe del Regno di Napoli e nel rifacimento del 1632 dei dipinti eseguiti nel 1580 nella Galleria del Vaticano, lo stesso restauro che introduce il Vesuvio.

Figura 19 – Mappa dell’Italia nella Villa Sacchetti-Chigi di Castelfusano, con Vulcano in attività (foto degli autori).

 

Il ripetersi di errori da un dipinto all’altro può essere un monito ancora attuale: prima di utilizzare un dato, anche se pubblicato da un autore attendibile, qualificato e serio (come sarà stato sicuramente a suo tempo Giacomo Gastaldi), è meglio verificare personalmente, fin dove possibile, senza timore di peccare di fiducia nel prossimo. Non solo il lavoro avrà un’impronta più originale, ma si eviterà di trarre conclusioni che potrebbero essere buone, se non fossero involontariamente basate su un dato iniziale sbagliato.

Testo rielaborato da : Scandone R. Giacomelli L., The activity of Italian volcanoes represented in ancient maps and frescoes from Middle Age to Renaissance, J-Reading, 2022, vol. 1, pp. 11-26, DOI: 10.4458/5116-02


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