Ecco il Vesuvio, un tempo verdeggiante di folte vigne…

 

Museo Archeologico Nazionale di Napoli (inv. nr. 112286). Da Pompeii, Casa del Centenario (IX, 8, 3-6) - Affresco del larario della casa, con Bacco in forma di grappolo d'uva, che versa del vino al suo animale preferito, la pantera; in alto un festone con bende ed uccelli; in basso il serpente agatodemone genius loci, indirizzato verso un altare cilindrico; il monte visibile è presumibilmente il Vesuvio per come appariva prima dell'eruzione del 79 d.C., caratterizzato da una sola cima, e fittamente ricoperto di vegetazione, fra cui si riconoscono filari di vitigni ai suoi piedi
Museo Archeologico Nazionale di Napoli (inv. nr. 112286). Da Pompeii, Casa del Centenario (IX, 8, 3-6) – Affresco del larario della casa, con Bacco in forma di grappolo d’uva, che versa del vino al suo animale preferito, la pantera; in alto un festone con bende ed uccelli; in basso il serpente agatodemone genius loci, indirizzato verso un altare cilindrico; il monte visibile è presumibilmente il Vesuvio per come appariva prima dell’eruzione del 79 d.C., caratterizzato da una sola cima, e fittamente ricoperto di vegetazione, fra cui si riconoscono filari di vitigni ai suoi piedi

Come appariva il vulcano agli abitanti di Pompei nel 79 d.C.

di Sandro de Vita

La sagoma del Vesuvio che domina il Golfo di Napoli è un’icona così potente nell’immaginario collettivo, da incarnare in sé il concetto stesso di vulcano ed evocare immediatamente l’immagine della città che si stende ai suoi piedi. Il Vesuvio è Napoli e Napoli è il Vesuvio, nel bene e nel male. Il vedutismo sette-ottocentesco ha contribuito alla diffusione di questa immagine in tutto il mondo, sebbene la forma del vulcano sia cambiata spesso e profondamente nel corso dei secoli, a causa delle ripetute eruzioni che ne hanno alternativamente distrutto e ricostruito parti dell’edificio.

Ciò che invece non si è mai riusciti a modificare, è la rappresentazione dell’aspetto che il Vesuvio poteva avere all’epoca della grande eruzione del 79 d.C. Spesso nei romanzi o nelle riproduzioni cinematografiche, anche quelle più recenti, in cui si parli dell’eruzione vesuviana del 79 d.C., si vede l’immagine di un gigantesco vulcano dai fianchi ripidi e di forma conica che svetta alto nel cielo, incombendo su Pompei.

Allo stesso modo nella narrazione dei fenomeni eruttivi che distrussero le cittadine romane alle falde del Vesuvio, ancora si continua a leggere di colate di lava incandescente dai “bagliori rossastri”, per non dire del lancio di macigni infuocati, grandi come automobili, che esplodono all’impatto con le strade e con le case di Pompei, neanche fossero bombe aeree sganciate dalle fortezze volanti degli alleati durante la seconda guerra mondiale. Simili esagerazioni ed imprecisioni, tuttavia, se ancora possono essere comprese se il fine è la spettacolarizzazione degli eventi, non possono essere accettate se si riscontrano in pubblicazioni scientifiche, quand’anche di carattere divulgativo.

Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza sui fatti e sullo stato dei luoghi in quel lontano autunno del 79 d.C. ma, per farlo, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, in un passato ancora più remoto, fino a circa 40.000 anni fa.

Gli studi che hanno avuto come oggetto il Vesuvio sin dagli albori della moderna vulcanologia, hanno permesso di stabilire che questo vulcano, nel corso della sua storia plurimillenaria, ha alternato fasi di attività per così dire “costruttiva” a fasi di attività “distruttiva”. Durante le fasi costruttive, lunghi periodi di attività semipersistente hanno determinato la costruzione di un edificio vulcanico, grazie all’accumulo dei prodotti eruttati nel corso di eruzioni effusive o esplosive di bassa energia. Durante le fasi distruttive, a seguito di eruzioni violentemente esplosive (pliniane), l’edificio precedentemente costruito veniva in gran parte distrutto, spesso collassando con la formazione di caldere.

Nelle figure da 1 a 4 viene proposta una ricostruzione della forma del Vesuvio attraverso le varie fasi della sua evoluzione, basata su tutti gli studi disponibili di carattere vulcanologico, geomorfologico, stratigrafico e storico.

Il paziente lavoro di ricostruzione morfologica, così condotto, ha permesso di stabilire che l’apparato vulcanico del Vesuvio, nel suo passato più remoto, dovesse effettivamente essere stato più alto di come si presenti attualmente e, soprattutto, di forma conica più regolare. In particolare, dall’inizio del suo accrescimento, a partire appunto da circa 40.000 anni fa e fino a circa 22.000 anni fa, il Vesuvio fu caratterizzato da un lunghissimo periodo di attività effusiva ed esplosiva di bassa energia che, attraverso l’accumulo di colate di lava e prodotti piroclastici, portò alla formazione di un edificio che raggiunse un’altezza massima compresa tra 1.600 e 1.900 m sul livello del mare (Fig. 1).

Figura 1 - Il Vesuvio circa 22.000 anni fa.
Figura 1 – Il Vesuvio circa 22.000 anni fa. Il lungo periodo eruttivo cominciato circa 40.000 anni fa fu caratterizzato da attività effusiva ed esplosiva di bassa energia che, a seguito dell’accumulo di colate di lava e prodotti piroclastici, portò all’accrescimento di un edificio vulcanico che raggiunse un’altezza compresa tra 1.600 e 1.900 metri.

Con l’eruzione esplosiva delle Pomici di Base, la prima pliniana nella storia del Vesuvio, avvenuta circa 22.000 anni fa, il vulcano passò ad uno stile eruttivo completamente diverso. L’edificio, che sino ad allora aveva continuato ad accrescersi, fu in parte distrutto per effetto della formazione di una caldera sommitale (Fig. 2a). Il vulcano assunse allora il modello di comportamento che mantiene tuttora, caratterizzato da periodi di attività persistente a condotto aperto (cioè con il magma che può liberamente raggiungere la superficie attraverso il condotto centrale), alternati a lunghi periodi di riposo a condotto ostruito, di durata secolare, che vengono interrotti da violente eruzioni esplosive di tipo pliniano o subpliniano.

L’eruzione delle Pomici di Base fu seguita da un periodo di attività effusiva, che determinò la messa in posto di colate laviche lungo i fianchi orientali del vulcano, e da un lungo periodo di quiescenza, che terminò 18.000 anni fa con l’eruzione subpliniana delle Pomici Verdoline. Il Somma-Vesuvio, a questo punto, entrò in una fase di stasi quasi assoluta che durò fino a quando, circa 9.000 anni fa, una nuova devastante eruzione pliniana, detta delle Pomici di Mercato, causò il collasso di un ulteriore settore del vulcano, con l’allargamento della caldera già esistente (Fig. 2b).

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La successiva eruzione pliniana del Vesuvio seguì ancora una volta un lungo periodo di quiescenza, durante il quale la fertilità del suolo e le condizioni climatiche ottimali, favorirono lo sviluppo di una vegetazione rigogliosa in tutta l’area vesuviana, come testimoniato dal suolo spesso e maturo, ricco di humus, che si rinviene alla base del deposito dell’eruzione delle Pomici di Avellino, avvenuta 3.900 anni fa. All’interno di questo paleosuolo sono abbondanti i resti di insediamenti umani dell’età del Bronzo, a testimonianza di una estesa colonizzazione di tutta l’area compresa tra Nola, Palma Campania e l’agro nocerino-sarnese, da parte di popolazioni dedite all’allevamento e all’agricoltura. L’eruzione delle Pomici di Avellino, una delle più violente tra le eruzioni pliniane del Somma-Vesuvio, fu anch’essa accompagnata dalla formazione di una caldera, che determinò lo sventramento di gran parte del settore occidentale dell’edificio vulcanico (Fig. 3).

Figura 3 - Il Vesuvio dopo l’eruzione Pliniana delle Pomici di Avellino. L’eruzione Pliniana delle Pomici di Avellino fu la più violenta della storia del Vesuvio, avvenne nell’età del Bronzo ed ebbe un enorme impatto sulle popolazioni delle piane circumvesuviane. L’edificio vulcanico era ridotto ormai a un relitto, completamente sventrato verso ovest da una caldera di forma articolata.
Figura 3 – Il Vesuvio dopo l’eruzione Pliniana delle Pomici di Avellino. L’eruzione Pliniana delle Pomici di Avellino fu la più violenta della storia del Vesuvio, avvenne nell’età del Bronzo ed ebbe un enorme impatto sulle popolazioni delle piane circumvesuviane. L’edificio vulcanico era ridotto ormai a un relitto, completamente sventrato verso ovest da una caldera di forma articolata.

All’interno dell’area calderizzata, che dopo l’eruzione delle Pomici di Avellino aveva acquisito una forma articolata dovuta ai ripetuti episodi di collasso, l’attività vulcanica continuò con una serie di eruzioni di energia variabile da stromboliana a subpliniana, l’ultima delle quali segnò l’inizio di un nuovo periodo di quiescenza che ebbe una durata di circa tre secoli.

L’eruzione del 79 d.C.

Il vulcano, a questo punto, doveva avere l’aspetto di un modesto rilievo che in modo quasi anonimo si innalzava sulla piana circostante. In epoca imperiale i rilievi del Vesuvio erano stati nuovamente ricoperti da una fitta vegetazione che ne mascherava ulteriormente la forma (Fig. 4). Il suo fertile suolo venne utilizzato principalmente per la coltivazione della vite, tanto che Marziale nei suoi Epigrammi lo descrive come “… verdeggiante di folti vigneti, pregno di vini in nobili vitigni…”.

In questo contesto è facile capire come gli abitanti di tutta l’area vesuviana ignorassero che il Vesuvio potesse essere un vulcano attivo quando, tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del 79 d.C., la più celebre tra le eruzioni della storia cancellò le città di Pompei ed Ercolano e distrusse o danneggiò seriamente altri centri come Oplonti e Stabia, lasciando un segno indelebile nella mente dei contemporanei

“Crederà la generazione ventura degli uomini, quando rinasceranno le messi e rifioriranno questi deserti, che sotto i loro piedi sono città e popolazioni e che le campagne degli avi si inabissarono?”

(Publio Papinio Stazio, Silvae)

“Mi dici che la lettera che io ti ho scritta, dietro tua richiesta, sulla morte di mio zio, ti ha fatto nascere il desiderio di conoscere, dal momento in cui fui lasciato a Miseno (ed era precisamente questo che stavo per raccontarti, quando ho troncato la mia relazione), non solo quali timori ma anche quali frangenti io abbia dovuto affrontare. Anche se il semplice ricordo mi causa in cuore un brivido di sgomento… incomincerò.”

(Plinio il Giovane, II lettera a Tacito)

“Ora tutto giace sommerso da ceneri infuocate: gli stessi dei struggono che tutto questo sia stato loro concesso”

(Marziale, Epigrammi)

Figura 4 – Il Vesuvio prima (a) e dopo (b) l’eruzione Pliniana del 79 d.C. Prima dell’eruzione del 79 d.C. il Vesuvio si presentava come un modesto rilievo completamente ricoperto di vegetazione, salvo che sulla cima e nella spianata calderica. Dopo l’eruzione la caldera era ulteriormente allargata verso sud.

In verità la natura vulcanica del Vesuvio era già nota se non altro a studiosi come Strabone che, nella sua opera “Geographia” lo descrive come

“… una montagna ricoperta di fertile humus e alla quale sembra che sia stata tagliata orizzontalmente la vetta; la sommità del monte si presenta con una spianata regolare, totalmente sterile, di colore cinereo, sulla quale si incontrano di tanto in tanto caverne (…) formate da rocce apparentemente annerite dal fuoco, di modo che si può congetturare che là vi fosse stato un vulcano che si è spento dopo aver consumato tutta la materia infuocata che gli serviva da alimento.”

L’eruzione del 79 d.C. è l’ultima pliniana della storia del Somma-Vesuvio, ed è stata l’ultima eruzione a modificarne profondamente l’aspetto con un nuovo episodio di collasso, che allargò la caldera verso sud. L’attività vulcanica, nei secoli a venire, continuò all’interno dell’area calderizzata con modeste eruzioni effusive ed esplosive di bassa energia che hanno prodotto colate di lava lungo i fianchi occidentali e meridionali del vulcano e livelli di scorie da lancio.

Non è chiaro se questa attività abbia portato alla costruzione di un nuovo edificio all’interno della caldera, ma è certo che, qualora ciò fosse avvenuto, sarebbe stato immancabilmente distrutto dalla successiva violenta eruzione che, al tramonto dell’impero romano d’occidente, nel 472 d.C., sconvolse nuovamente la regione vesuviana. Questa eruzione, nota in letteratura anche come eruzione di Pollena, fu di tipo subpliniano, e quindi di energia inferiore rispetto a quella del 79 d.C., anche se probabilmente fu tra le più violente di questo tipo ed ebbe un impatto devastante sul territorio, mettendo definitivamente in ginocchio l’economia di un impero ormai sul punto di disgregarsi del tutto (476 d.C.).

Dopo l’eruzione di Pollena l’attività del vulcano proseguì, in condizioni di condotto aperto, in modo semipersistente fino al 1139. In questo periodo si susseguirono eruzioni effusive ed esplosive di bassa energia che costruirono il cosiddetto gran cono vesuviano, nella posizione che approssimativamente occupa oggi. Questo nuovo stratovulcano, cresciuto all’interno della caldera, ne superò in altezza la cresta e fu identificato, nella toponomastica locale, come una unità morfologica a se stante con il nome di Vesuvio propriamente detto, mentre i resti del precedente edificio vulcanico semidistrutto presero il nome di Montagna di Somma o monte Somma.


Fonti

Il titolo di questo articolo riprende i versi di Marziale (Epigrammi, IV-44).

I lavori riportati di seguito contengono le citazioni di tutta la bibliografia utilizzata per la redazione di questo testo. I disegni sono di Sandro de Vita e sono tratti da: “AA.VV., 2010. Pompei e il Vesuvio, scienza, conoscenza ed esperienza. Cangemi Editore SpA, Roma, 188 pp”.

Cioni et al., 1999. Pyroclastic deposits as a guide for reconstructing the multi-stage evolution of the Somma-Vesuvius caldera. Bulletin of Volcanology, 60, 207-222.

de Vita S. e Marotta E., 2007. Terra di vulcani. Ed. L’Arca e l’Arco, Nola, 144 pp.

Di Vito et al., 2020. L’eruzione delle Pomici di Avellino: evidenze dal sito di Nola Croce del Papa. In: C. Albore Livadie e G. Vecchio (Eds.), Nola – Croce del Papa : un villaggio sepolto dall’eruzione vesuviana delle Pomici di Avellino. Napoli : Centre Jean Bérard, 2020 (Collection du Centre Jean Bérard, ISSN 1590-3869 ; 54). ISBN 978-2-38050-026-4.

Doronzo et al., 2022. The 79 CE eruption of Vesuvius: A lesson from the past and the need of a multidisciplinary approach for developments in volcanology. Earth Science Reviews, 231. https://doi.org/10.1016/j.earscirev.2022.104072.