Come si studiano le grandi eruzioni?

Combinando competenze diverse, e chiedendosi se siamo pronti per la prossima.

di Micol Todesco, Matteo Cerminara, Stefano Corradini, Mauro Antonio Di Vito, Domenico Doronzo

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia promuove le ricerche finalizzate alla comprensione dei meccanismi di funzionamento della Terra e dei conseguenti rischi naturali. Questi studi vengono realizzati all’interno di un progetto di lungo termine che va sotto il nome di Pianeta Dinamico. Uno dei tanti temi presi in considerazione ha riguardato lo studio delle grandi eruzioni, ed in particolare la loro preparazione, la loro dinamica e i loro effetti. Ma volendo approfondire la conoscenza delle grandi eruzioni, da dove partire se non dallo studio della più famosa fra tutte?

C’è un’eruzione che più di ogni altra ha lasciato un segno nella storia della vulcanologia, un evento iconico che ha segnato l’immaginario collettivo per secoli: la grande eruzione del Vesuvio che nel 79 d.C. ha distrutto le città romane che prosperavano lungo la costa campana, preservandole per secoli sotto una fitta coltre di depositi (Figura 1).

Figura 1 - In primo piano, la città romana di Herculaneum (Ercolano), distrutta dall’eruzione del 79 d.C. del Vesuvio, visibile sullo sfondo. Fra la città romana e il vulcano, le case della moderna Ercolano. Foto di Micol Todesco.
Figura 1 – In primo piano, la città romana di Herculaneum (Ercolano), distrutta dall’eruzione del 79 d.C. del Vesuvio, visibile sullo sfondo. Fra la città romana e il vulcano, le case della moderna Ercolano. Foto di Micol Todesco.

L’eruzione che ha distrutto Pompei ed Ercolano è sicuramente una delle più studiate al mondo, a partire dalla testimonianza diretta che ne fece Plinio il Giovane nella sua famosa lettera a Tacito, alcuni decenni dopo i fatti. Una ricerca effettuata attraverso vari motori di ricerca specializzati restituisce centinaia e centinaia di articoli scientifici scritti da studiosi di tutto il mondo. Queste ricerche hanno analizzato ogni aspetto dell’eruzione: la dinamica degli eventi, le caratteristiche dei depositi che si sono formati nelle diverse fasi eruttive, l’impatto che l’eruzione ha avuto su persone e cose. Eppure ancora, dopo secoli di studi, ogni volta che guardiamo a quest’eruzione, riusciamo ad imparare cose nuove: ad esempio, che l’eruzione è verosimilmente avvenuta in autunno, e non in piena estate come si pensava.

Nuove ricerche sull’eruzione del 79 dC al Vesuvio

Recentemente, una nuova serie di studi effettuati nell’ambito del progetto INGV Pianeta Dinamico si è concentrata sull’ eruzione vesuviana del 79 d.C., per acquisire maggiori dettagli sulla complessa dinamica eruttiva di questo evento. Questi dati, raccolti partendo da un paziente lavoro di terreno (Figura 2), non servono soltanto a migliorare la comprensione dei fenomeni ma anche a studiare il legame tra le condizioni del magma alla bocca eruttiva e il deposito osservato, tramite l’utilizzo di modelli numerici in grado di descrivere l’evoluzione dell’eruzione. Due video interamente dedicati a questo progetto sono disponibili sul canale YouTube INGVvulcani (link in fondo al testo).

Figura 2 - I depositi lasciati sul terreno dall’eruzione del 79 d.C. ci permettono di ricostruire le diverse fasi dell’eruzione, che hanno prodotto strati diversi e distinguibili fra loro. Questi strati vengono accorpati sulla base di caratteristiche fisiche comuni in unità eruttive (EU), indicate con sigle come quelle che si leggono in figura, sulla destra (da EU1 a EU8). Grazie alla dettagliata descrizione di Plinio il Giovane, è oggi possibile attribuire la formazione di ciascuna di queste unità eruttive al particolare momento in cui sono state messe in posto nel corso dei due giorni di eruzione. L’affioramento ritratto in fotografia si trova in una cava vicino a Terzigno a circa 4.5 km dal cratere attuale. La fotografia, di Domenico Doronzo, è stata utilizzata per un articolo scientifico pubblicato da Doronzo et al., 2022 sulla rivista Earth-Science Reviews 231, 104072.
Figura 2 – I depositi lasciati sul terreno dall’eruzione del 79 d.C. ci permettono di ricostruire le diverse fasi dell’eruzione, che hanno prodotto strati diversi e distinguibili fra loro. Questi strati vengono accorpati sulla base di caratteristiche fisiche comuni in unità eruttive (EU), indicate con sigle come quelle che si leggono in figura, sulla destra (da EU1 a EU8). Grazie alla dettagliata descrizione di Plinio il Giovane, è oggi possibile attribuire la formazione di ciascuna di queste unità eruttive al particolare momento in cui sono state messe in posto nel corso dei due giorni di eruzione. L’affioramento ritratto in fotografia si trova in una cava vicino a Terzigno a circa 4.5 km dal cratere attuale. La fotografia, di Domenico Doronzo, è stata utilizzata per un articolo scientifico pubblicato da Doronzo et al., 2022 sulla rivista Earth-Science Reviews 231, 104072.

I modelli utilizzati consentono di simulare l’ingresso in atmosfera di una miscela eruttiva composta da gas vulcanici e da particelle di cenere di varie dimensioni. Le simulazioni descrivono lo sviluppo della colonna eruttiva, la sua interazione con l’atmosfera, la ricaduta di ceneri al suolo e le eventuali fasi di collasso che portano alla formazione di pericolosi flussi piroclastici lungo i fianchi del vulcano (Figura 3). Il confronto fra i risultati delle simulazioni e i dati raccolti sul terreno consente di valutare quanto il modello è vicino alla realtà modello, che può poi essere utilizzato per studiare cosa potrebbe accadere se un’eruzione simile avvenisse in altre condizioni, ad esempio, quando il vento spira in un’altra direzione.

Figura 3 - Simulazione numerica di un’eruzione vulcanica al Vesuvio. La figura mostra la distribuzione della cenere eruttata dopo 720 secondi di simulazione (12 minuti). Si vede bene lo sviluppo della colonna eruttiva, che si innalza verso l’alto e si allarga in un ampio pennacchio, allungato nella direzione dei venti dominanti (verso destra in figura). La superficie più esterna, in grigio, rappresenta la distribuzione della cenere e dei lapilli, mentre in rosso è indicata la distribuzione delle particelle di cenere con un diametro di 1 mm. Dopo 12 minuti, parte della cenere è già ricaduta a terra: il colore dell’area ricoperta da cenere (verde tendente al giallo e all’arancione in figura) indica il carico esercitato. La corrispondente scala di colori si trova a sinistra. Immagine realizzata da Matteo Cerminara.
Figura 3 – Simulazione numerica di un’eruzione vulcanica al Vesuvio. La figura mostra la distribuzione della cenere eruttata dopo 720 secondi di simulazione (12 minuti). Si vede bene lo sviluppo della colonna eruttiva, che si innalza verso l’alto e si allarga in un ampio pennacchio, allungato nella direzione dei venti dominanti (verso destra in figura). La superficie più esterna, in grigio, rappresenta la distribuzione della cenere e dei lapilli, mentre in rosso è indicata la distribuzione delle particelle di cenere con un diametro di 1 mm. Dopo 12 minuti, parte della cenere è già ricaduta a terra: il colore dell’area ricoperta da cenere (verde tendente al giallo e all’arancione in figura) indica il carico esercitato. La corrispondente scala di colori si trova a sinistra. Immagine realizzata da Matteo Cerminara.

Studiare l’impatto delle grandi eruzioni

L’impatto di un’eruzione vulcanica su persone o cose dipende da alcune caratteristiche specifiche: in particolare, la temperatura raggiunta, la concentrazione di cenere (sia in aria che al suolo), e la pressione dinamica esercitata dai flussi in movimento. Se queste variabili superano certi valori critici, la sopravvivenza delle persone o la stabilità di un edificio possono essere compromesse. Alcune importanti informazioni derivano dallo studio dei depositi piroclastici, come mostrato in Figura 4. Tuttavia, questo è possibile solo in alcuni punti e il deposito vulcanico non fornisce informazioni circa la concentrazione di cenere in aria nel corso dell’eruzione.

Figura 4 - Questa serie di immagini mostra i punti in cui è stato possibile determinare la temperatura o la pressione dinamica dell’eruzione sulla base delle caratteristiche del deposito osservato. In particolare, il rinvenimento di frammenti di legno carbonizzato consente di stimare la temperatura del deposito, che doveva essere superiore ai 300°C per consentire la carbonizzazione. Lo studio del volume e del peso del materiale trasportato dai flussi, come per esempio grossi blocchi, consente di stimare la pressione dinamica esercitata dal flusso (espressa in figura in kPa), mentre il rinvenimento di grossi clasti balistici (con dimensioni >100 cm) rappresenta un ulteriore elemento per determinare l’impatto dell’eruzione. Fotografie e immagine di Domenico Doronzo (la foto del calco è stata ripresa da un articolo pubblicato da Doronzo et al., 2022 sulla rivista Earth-Science Reviews 231, 104072).
Figura 4 – Questa serie di immagini mostra i punti in cui è stato possibile determinare la temperatura o la pressione dinamica dell’eruzione sulla base delle caratteristiche del deposito osservato. In particolare, il rinvenimento di frammenti di legno carbonizzato consente di stimare la temperatura del deposito, che doveva essere superiore ai 300°C per consentire la carbonizzazione. Lo studio del volume e del peso del materiale trasportato dai flussi, come per esempio grossi blocchi, consente di stimare la pressione dinamica esercitata dal flusso (espressa in figura in kPa), mentre il rinvenimento di grossi clasti balistici (con dimensioni >100 cm) rappresenta un ulteriore elemento per determinare l’impatto dell’eruzione. Fotografie e immagine di Domenico Doronzo (la foto del calco è stata ripresa da un articolo pubblicato da Doronzo et al., 2022 sulla rivista Earth-Science Reviews 231, 104072).

Grazie all’utilizzo di modelli numerici, possiamo invece calcolare il valore di queste variabili in ogni punto del dominio di calcolo considerato dal modello, e per tutto l’intervallo di tempo simulato. Questo ci permette di valutare, all’interno dello scenario simulato, dove e quando possono insorgere condizioni di pericolo. La figura 5 illustra i risultati ottenuti dalla stessa simulazione già mostrata in figura 3, questa volta dopo 10.000 secondi (oltre 2 ore e mezza) dall’inizio dell’eruzione. La figura mostra non soltanto la maggiore dispersione della nube eruttiva, ma illustra bene l’impatto della cenere depositata al suolo sull’intera area. I colori tendenti al rosso indicano un carico di ceneri al suolo intorno ai 200 kg per metro quadro. Carichi di questo tipo possono portare al collasso dei tetti.

Figura 5 - Simulazione numerica di un’eruzione vulcanica al Vesuvio. La figura illustra la dispersione della cenere (in grigio scuro) dopo 10.000 secondi di simulazione (quasi 3 ore). In questo arco di tempo, la ricaduta di ceneri al suolo (in colore) ha interessato buona parte della piana campana, investendo in pieno la penisola sorrentina e l’area a sud del vulcano (verso destra in figura). Diverse tonalità di colore si riferiscono al diverso carico della cenere depositata a terra, che raggiunge il suo massimo in prossimità del cratere e nell’area sottovento. La corrispondente scala di colori si trova a destra. Immagine realizzata da Matteo Cerminara.
Figura 5 – Simulazione numerica di un’eruzione vulcanica al Vesuvio. La figura illustra la dispersione della cenere (in grigio scuro) dopo 10.000 secondi di simulazione (quasi 3 ore). In questo arco di tempo, la ricaduta di ceneri al suolo (in colore) ha interessato buona parte della piana campana, investendo in pieno la penisola sorrentina e l’area a sud del vulcano (verso destra in figura). Diverse tonalità di colore si riferiscono al diverso carico della cenere depositata a terra, che raggiunge il suo massimo in prossimità del cratere e nell’area sottovento. La corrispondente scala di colori si trova a destra. Immagine realizzata da Matteo Cerminara.

Le grandi eruzioni viste dal satellite

La simulazione numerica dell’eruzione di Pompei ci consente di andare oltre lo studio della dinamica eruttiva e del suo impatto. Possiamo infatti utilizzare il modello anche per simulare i segnali che i vulcanologi utilizzano per monitorare l’attività di un vulcano. Grazie al progetto Pianeta Dinamico è stato possibile sviluppare procedure di calcolo che, a partire dai risultati delle simulazioni numeriche, riproducono alcuni di questi segnali. In particolare, il progetto ha dimostrato che è possibile riprodurre il segnale infrasonico prodotto dall’eruzione, così come il segnale radar e quello infrarosso. La figura 6 mostra come l’eruzione simulata sarebbe stata vista da un ipotetico satellite in orbita ai tempi di Plinio.

Questo esercizio non ha soltanto un bizzarro fine teorico. L’utilizzo di dati satellitari per tracciare l’evoluzione degli eventi eruttivi è ormai diventato una pratica comune, ad esempio per seguire l’attività dell’Etna. Le informazioni raccolte dai satelliti consentono di stimare l’altezza di una nube vulcanica, o la quantità di gas e ceneri disperse in atmosfera e queste sono informazioni importanti per organizzare tempestivamente le opportune misure di mitigazione. Tuttavia, le procedure sviluppate per ottenere queste informazioni a partire dai dati satellitari sono adatte a descrivere le eruzioni che osserviamo più spesso, che sono tipicamente di taglia piccola o media. Le caratteristiche della nube eruttiva generata da un’eruzione di grandi dimensioni, come quella del 79 d.C., possono essere diverse. Su questo però non abbiamo dati: le grandi eruzioni fortunatamente sono rare e da quando abbiamo satelliti adatti a questo tipo di osservazioni se ne sono verificate raramente. I modelli teorici ci permettono di colmare questa mancanza di dati.

Figura 6 - Immagine satellitare sintetica, ricostruita in base ai dati di una simulazione numerica dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., e alle misure effettuate su campioni di cenere della stessa eruzione. Conoscendo la concentrazione di ceneri e di gas in atmosfera (calcolata dal modello) e il contenuto in silice della cenere eruttata nel corso dell’eruzione, è possibile calcolare quel che un satellite avrebbe visto nel 79 d.C., dopo 13 ore (in alto) e dopo 82 ore (in basso) dall’inizio dell’eruzione. Colori diversi corrispondono a diversi valori di radianza, ovvero di energia emessa dalla nube eruttiva che raggiunge il satellite per unità di tempo, area, frequenza e angolo di vista. Immagine realizzata da Matteo Cerminara, Stefano Corradini, Federica Pardini e Lorenzo Guerrieri.
Figura 6 – Immagine satellitare sintetica, ricostruita in base ai dati di una simulazione numerica dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., e alle misure effettuate su campioni di cenere della stessa eruzione. Conoscendo la concentrazione di ceneri e di gas in atmosfera (calcolata dal modello) e il contenuto in silice della cenere eruttata nel corso dell’eruzione, è possibile calcolare quel che un satellite avrebbe visto nel 79 d.C., dopo 13 ore (in alto) e dopo 82 ore (in basso) dall’inizio dell’eruzione. Colori diversi corrispondono a diversi valori di radianza, ovvero di energia emessa dalla nube eruttiva che raggiunge il satellite per unità di tempo, area, frequenza e angolo di vista. Immagine realizzata da Matteo Cerminara, Stefano Corradini, Federica Pardini e Lorenzo Guerrieri.

La simulazione del segnale che il satellite avrebbe rilevato durante l’eruzione ci ha permesso di testare le procedure in uso per la stima dell’altezza e della quantità di cenere nella nube vulcanica. Abbiamo così potuto verificare che, mentre l’altezza della nube viene valutata correttamente, la quantità di cenere presente nella nube viene fortemente sottostimata.

Un progetto con tante facce

Il progetto di ricerca che ha permesso di produrre questi risultati è basato sull’integrazione di diverse competenze scientifiche e si è articolato in 3 fasi distinte. Una prima fase è stata dedicata a ricostruire l’eruzione di Pompei. È stata condotta un’analisi critica della letteratura scientifica esistente, integrando dati vulcanologici, storici e archeologici (Figura 2). Queste conoscenze sono state organizzate e opportunamente integrate per ottenere una base di dati che descriva in modo organico le caratteristiche di ciascuna unità eruttiva riconosciuta per questa eruzione, a partire dallo spessore del deposito. Una particolare attenzione è stata data allo studio della distribuzione delle ceneri più fini, che subiscono la maggiore dispersione areale. Questi studi hanno permesso di raffinare la descrizione delle particelle solide (ceneri e lapilli) eruttate nel corso dell’evento, dettagliando la loro distribuzione granulometrica.

Le informazioni raccolte studiando i depositi dell’eruzione, combinate con gli elementi tratti dai documenti storici, hanno permesso di ricostruire come è variato nel tempo il tasso eruttivo, ovvero la quantità di massa eruttata per unità di tempo (Figura 7). In particolare, dopo circa 17 ore di attività praticamente ininterrotta, l’intera colonna eruttiva, ormai non più alimentata, collassa ponendo fine alla fase magmatica dell’eruzione. L’attività riprenderà vigore grazie all’interazione con acqua di falda che, vaporizzando, darà luogo alla parte terminale, freatomagmatica dell’eruzione.

L’interazione con l’acqua è verosimilmente avvenuta a seguito del collasso calderico che ha permesso l’ingresso di acqua non magmatica all’interno della camera magmatica. Il collasso calderico ha generato anche terremoti, le cui evidenze sono presenti nei danni subìti dagli edifici romani anche non vicini al vulcano. I flussi piroclastici associati a questa fase hanno raggiunto distanze di decine di chilometri, provocando un forte impatto e dei danni anche a Pompei.

I dati relativi alla granulometria e al tasso eruttivo devono essere forniti in ingresso al modello numerico, per caratterizzare l’eruzione che si vuole simulare: migliore è la loro definizione, maggiore sarà l’accuratezza della simulazione.

Figura 7 - Nel grafico si mostra la variazione del tasso eruttivo nel corso dell’eruzione. La figura riporta anche la transizione, dopo circa 6 ore, da una prima fase, caratterizzata dall’eruzione di un magma più superficiale che ha prodotto pomici di colore bianco, ad una fase successiva, quando la colorazione delle pomici è diventata grigia (magma più profondo). Le frecce rosse indicano i momenti in cui il collasso parziale della colonna eruttiva ha generato i pericolosi flussi piroclastici. La figura, preparata da Domenico Doronzo e Mauro Antonio Di Vito, utilizza valori ripresi da Carey e Sigurdsson, 1987 (GSA Bull. 99, 303-314) che sono stati sincronizzati, per le diverse fasi di collasso della colonna, rispetto alla tempistica dell’eruzione descritta da Plinio.
Figura 7 – Nel grafico si mostra la variazione del tasso eruttivo nel corso dell’eruzione. La figura riporta anche la transizione, dopo circa 6 ore, da una prima fase, caratterizzata dall’eruzione di un magma più superficiale che ha prodotto pomici di colore bianco, ad una fase successiva, quando la colorazione delle pomici è diventata grigia (magma più profondo). Le frecce rosse indicano i momenti in cui il collasso parziale della colonna eruttiva ha generato i pericolosi flussi piroclastici. La figura, preparata da Domenico Doronzo e Mauro Antonio Di Vito, utilizza valori ripresi da Carey e Sigurdsson, 1987 (GSA Bull. 99, 303-314) che sono stati sincronizzati, per le diverse fasi di collasso della colonna, rispetto alla tempistica dell’eruzione descritta da Plinio.

Una volta precisate le caratteristiche dell’eruzione, è stato possibile passare alla seconda fase del progetto, e implementare il modello numerico in grado di descrivere la propagazione di una miscela di gas e ceneri ad alta temperatura eruttata al cratere del vulcano. Se le condizioni iniziali e al contorno del modello sono scelte adeguatamente, il modello può riprodurre alcune caratteristiche salienti dell’eruzione, come lo sviluppo della colonna eruttiva fino ad una certa altezza, o la dispersione della nube eruttiva nella direzione dei venti dominanti, o ancora la formazione di un deposito piroclastico al suolo con determinate caratteristiche.

Confrontando i dati ottenuti da misure sul campo e i risultati del modello possiamo valutare l’accuratezza della simulazione nel descrivere le caratteristiche principali dell’eruzione. Questo confronto permette anche di esplorare gli effetti dei valori che scegliamo di usare nel modello per le variabili in ingresso, come il tasso di alimentazione, la temperatura del magma eruttato o la frazione iniziale di gas disciolti nel magma. Spesso non si hanno dati sufficienti a stabilire con certezza il valore di questi parametri, oppure ci aspettiamo che questo valore possa cambiare nel tempo. L’utilizzo di modelli numerici ci permette di esplorare scenari diversi, e di verificare in che modo ciascuno di questi parametri può influenzare l’evoluzione di un evento eruttivo. A seconda dello scenario considerato, il modello descrive l’evolversi dell’eruzione e consente di valutare l’impatto corrispondente a diverse condizioni eruttive.

I risultati del modello ci consentono di studiare da vicino la dinamica eruttiva e comprendere i fattori in grado di influenzarla. In aggiunta, e siamo alla terza fase del progetto, i risultati ottenuti possono essere utilizzati come dati in ingresso per modelli diversi, ad esempio quelli che consentono di stimare la dispersione della cenere in atmosfera su vasta scala. Oppure, possiamo utilizzarli per simulare il segnale che sarebbe rilevato da un satellite in orbita. Per fare ciò, oltre alle caratteristiche dell’eruzione, abbiamo bisogno di conoscere le proprietà ottiche della cenere vulcanica, ovvero quelle caratteristiche che definiscono il modo in cui le particelle di cenere interagiscono con la radiazione elettromagnetica. Utilizzando questi dati è possibile simulare il segnale che avrebbe captato un satellite in orbita nel 79 d.C.. Possiamo quindi elaborare questo segnale utilizzando le procedure sviluppate per l’analisi dei dati satellitari per stimare l’altezza della nube vulcanica (figura 7) o la concentrazione di cenere nella nube.

Il confronto fra le stime così ottenute e le caratteristiche dell’eruzione simulata ci permette di valutare l’efficacia delle procedure e degli strumenti di osservazione e monitoraggio utilizzati. Possiamo quindi apportare le modifiche necessarie a rendere i risultati sempre più affidabili e ridurre così l’impatto che questi eventi hanno sulle persone e sull’ambiente.

Figura 8 - Immagine satellitare sintetica, ricostruita a partire dai dati di una simulazione numerica dell’eruzione del Vesuvio, e dalle misure effettuate su campioni di cenere dell’eruzione del 79 dC. Conoscendo la concentrazione di ceneri e di gas in atmosfera (calcolata dal modello) e il contenuto in silice della cenere eruttata, è possibile calcolare quel che un satellite avrebbe visto nel 79 dC, dopo 13 ore (in alto) e dopo 82 ore dall’inizio dell’eruzione (in basso). In quest’immagine, colori diversi corrispondono all’altezza massima raggiunta dalla colonna eruttiva. Immagine realizzata da Stefano Corradini, Lorenzo Guerrieri, Matteo Cerminara e Federica Pardini.
Figura 8 – Immagine satellitare sintetica, ricostruita a partire dai dati di una simulazione numerica dell’eruzione del Vesuvio, e dalle misure effettuate su campioni di cenere dell’eruzione del 79 dC. Conoscendo la concentrazione di ceneri e di gas in atmosfera (calcolata dal modello) e il contenuto in silice della cenere eruttata, è possibile calcolare quel che un satellite avrebbe visto nel 79 dC, dopo 13 ore (in alto) e dopo 82 ore dall’inizio dell’eruzione (in basso). In quest’immagine, colori diversi corrispondono all’altezza massima raggiunta dalla colonna eruttiva. Immagine realizzata da Stefano Corradini, Lorenzo Guerrieri, Matteo Cerminara e Federica Pardini.

La condivisione dei risultati scientifici

Questo genere di ricerche ci permette di capire meglio fenomeni vulcanici che sono scientificamente complessi, certamente appassionanti, ma soprattutto pericolosi. Una buona comprensione di questi fenomeni fornisce strumenti utili a mitigarne gli effetti. I risultati scientifici di progetti come quello presentato trovano spazio nelle pubblicazioni di settore, e vengono discussi sia nei congressi internazionali che nelle periodiche riunioni con il Dipartimento di Protezione Civile. Trattandosi però di risultati ottenuti con finanziamenti pubblici e riferendosi a ricerche che hanno implicazioni per la valutazione e la mitigazione dei rischi naturali, riteniamo che sia importante condividere il nostro lavoro con tutte le persone interessate, anche se non pratiche della materia. Per facilitare questa condivisione, gli obiettivi, i traguardi e le attività svolte nell’ambito di questa attività di ricerca sono stati sinteticamente descritti dai ricercatori in un breve video dal titolo Pompei 79 dC: Studio di un’eruzione. Il video è disponibile sul canale YouTube INGVvulcani ed è indirizzato ad un pubblico generico. Un settore di pubblico che ci sta molto a cuore è quello dei giovani in procinto di scegliere quali materie studiare in un percorso universitario. Pensando a loro abbiamo realizzato anche un secondo video, dal titolo Vulcanologo: un mestiere con tante facce. In questo secondo video abbiamo sottolineato le mille sfaccettature della vulcanologia contemporanea, una disciplina sola che racchiude tante professionalità diverse e complementari, tutte necessarie e tutte affascinanti per chi cerca di capire come funzionano i vulcani.

link al video Pompei 79 dC: Studio di un’eruzione

https://youtu.be/HMogAOJFDYM

link al video Vulcanologo: un mestiere con tante facce

https://youtu.be/KpFc9uDpe_w

Hanno collaborato al progetto: Lorenzo Guerrieri, Federica Pardini, Ilenia Arienzo, Marina Bisson, Benedetta Calusi, Mattia de’ Michieli Vitturi, Sandro de Vita, Giovanni Macedonio, Luca Merucci, Lucia Pappalardo, Monica Piochi, Ilaria Rucco, Laura Sandri, Elisa Trasatti.