L’eruzione del Vesuvio del 1839

L’eruzione del Vesuvio del 1839 cominciò il mattino del primo gennaio e proseguì fino al cinque dello stesso mese. Preceduta da modesta attività stromboliana, l’eruzione ebbe inizio con una colata di lava che traboccò dal cratere dirigendosi verso il Colle del Salvatore; nello stesso tempo si sviluppò un’attività esplosiva con emissione di grossi lapilli scuri che ricaddero a Resina (Ercolano) con dimensioni simili a noci. Il giorno successivo si ebbe un nuovo parossismo, accompagnato da un intenso degassamento. Si formò una nuova colata di lava che si divise in due rami, uno dei quali si diresse lungo il Fosso Grande verso S. Giorgio a Cremano, mentre l’altro scorse verso Boscotrecase. La pioggia di lapilli dei primi giorni si trasformò in cenere nei giorni successivi, che andò a ricoprire tutto il settore meridionale del vulcano, fino a Sorrento. Numerosi curiosi accorsero ad osservare il fenomeno; tra questi molti visitatori stranieri che soggiornavano a Napoli, a quel tempo centro artistico e letterario di grande importanza in Europa.

Si riportano due brani descrittivi dell’eruzione, il primo (1) dalla relazione di Leopoldo Pilla, il secondo (2) dal Giornale del Regno delle due Sicilie, autore L. Scovazzi.
1) da Leopoldo Pilla – Relazione de’ fenomeni avvenuti nel Vesuvio ne’ primi dì del corrente. anno 1839.
“Volle il vulcano riaccendere i suoi fuochi in un momento tale che pareva avesse voluto salutare la prima aurora dell’anno 1839. Di che molti traevano auspici molto diversi; perocchè la gran moltitudine di stranieri che allora stanziavano in Napoli, si tenevano beati di riguardare una eruzione del Vesuvio, segno ardentissimo dei loro deisderi, ma sventura per gli abitanti dei villaggi posti alle falde del Vulcano che tremavano ad ogni scoppio che dall’alto del Monte loro veniva all’orecchio. Tanto può una medesima causa ingenerare ad un tempo diletto e spavento! (...)
Ma chi può mai ritrarre con parole quel che era il Vesuvio quando il giorno cedette il luogo alle tenebre? La cima del vulcano era tutta una massa di fuoco del quale parte veniva in basso riversata a modo di lunghe strisce ardenti, e parte era in alto balestrata sotto forma di tempesta di pietre; e meglio che pietre si potevano dire massi di smisurata grandezza; poichè a vederli di lontano, parevano pezzi del monte che la violenza del fuoco svellesse e lanciasse in aria. Ed aggiungevano a grandissima altezza; perciocchè secondo le osservazioni del chiarissimo signor Capocci, direttore del nostro Osservatorio Astronomico, i getti maggiori si elevavano fino a 1100 piedi sopra la bocca del vulcano. Venivano mandati fuori quasi senza interruzione alcuna, come se un soffio continuo sotterraneo li sperdesse nell’aria. “

2) da L. Scovazzi, numero del 5 gennaio 1839 del Giornale del Regno delle due Sicilie
“Si affacciava l’alba del nuovo anno; fra mezzo alle corruscazioni ed a’ tuoni del disserrato monte discorreva la lava (…) i globi smisurati di fumo volgevano col vento da settentrione, molto campo turbavano del prossimo cielo e poi fatti bianchi si addensavano in larghe liste dfino all’isole adiacenti.
L’acceso bitume piglia il camino che guarda diritto Resina; già incominciava a seppellire ne’ vortici suoi le coltivazioni di que’ campi (…) già si ingrandivano i timori, piangevansi le perdite. cupa e funesta era la scena ma era pur magnifica e variata (…) Era a metà il primo giorno del novello anno; ma fiamma non cresceva; però il popolo de’ poeti e de’ curiosi procedeva per la via di Portici; dopo lo scorrere di due ore cessava l’eruzione, e la notte di quel giorno vide tacere il vulcano (…) Ieri all’alba, oggi pure all’alba tuona il Monte. L’incesa materia fluisce dalla parte di Ottajano, si parte in quattro grandi liste, due minacciano la sommità di Boscotrecase e due più veloci corrono verso il Mauro prossime alla lava del 1834 (…)
(…) già la ciurma degli spettatori sale il ciglione del monte che termina coll’Eremo del Salvatore (…) ma che vale questo naturale riparo contro tanto furore! Le fiere ed i pastori fuggon a tanto frastuono di tempesta (…) Immensi globi di fumo bianco s’innalzano come flutti di oceano in gran tempesta; colonne di fumo nero nero come quello della pece di un acceso arsenale sollevansi; piramidi di fuoco vive scagliansi in alto e ripiegansi converse in pioggia di enormi pietre che ruinano in fondo all’arsa vallea come palle lanciate da cento cannoni (…) una fiamma di fuoco scroscia come la famosa cascata del Reno.”