Accadde oggi: l’eruzione del 1930 a Stromboli
di Caterina Piccione, Maddalena De Lucia, Gianfilippo De Astis
Stromboli, o Strongyle (la rotonda), è nota fin dall’antichità per il suo vulcano in attività continua. Di certo, con le luminose esplosioni del cratere, l’isola è stata uno dei fari più conosciuti nell’antichità per chiunque navigasse nel Tirreno.
La presenza umana sull’isola è attestata almeno dal XVI secolo a.C.. Un primo insediamento si costituì in contrada San Vincenzo, e da allora lo sviluppo dell’isola è stato storicamente legato al mare e alla tradizione marina, tanto più che Stromboli era tappa obbligata per coloro che attraversavano il Tirreno. Nel 36 a.C., Sesto Pompeo, padrone della Sicilia e comandante della flotta di Ottaviano, nel corso della guerra civile contro l’imperatore occupò Stromboli e ne fece una base militare.
Popolata e relativamente florida in età romana e tardo romana, è stata abbandonata nell’alto medioevo ed è tornata ad essere abitata solo nel XIX secolo, quando la marineria strombolana ebbe un rigoglioso sviluppo e i suoi velieri solcavano non solo il Tirreno ma tutto il Mediterraneo, in particolare tra la Sicilia e la Campania. Quella fiorente attività fu tuttavia messa in crisi dalle navi a vapore e dalla ferrovia tra Reggio Calabria e Napoli. Si ebbe pertanto un forte calo demografico sull’isola, che nel 1930 contava solo 900 abitanti.
E fu l’eruzione parossistica del 1930 e il relativo maremoto che, aggiunti alla crisi economica, convinsero moltissimi altri isolani a emigrare verso gli Stati Uniti, l’Argentina e l’Australia, dove oggi ci sono fortissime comunità eoliane.
L’eruzione dell’11 settembre 1930, cominciata alle 8 circa del mattino, rappresenta l’evento più violento e distruttivo nella storia eruttiva recente dello Stromboli, per le vittime e per i danni prodotti su tutta l’isola (Figura 1).

L’eruzione si sviluppò in quattro fasi: dopo la fase preliminare, con l’emissione di ceneri, nella prima si verificarono due violente esplosioni che provocarono la slabbratura del cratere. Durante questa fase grossi blocchi, alcuni con un volume superiore ai 10 m³, ricaddero sui versanti occidentali dell’isola, colpendo il Semaforo Labronzo, che fu completamente distrutto, e l’abitato di Ginostra. La nube eruttiva si innalzò fino a circa 4 chilometri.
Nella seconda fase, valanghe di cenere e scorie incandescenti – probabilmente flussi piroclastici – si riversarono verso S. Bartolo e Piscità, nel settore settentrionale dell’isola, causando la morte di 6 persone e ferendone 20. La vegetazione e in particolare le vigne furono distrutte da incendi nella parte alta dell’isola. Nella terza fase, dalle 11 fino a notte inoltrata, colate laviche si riversarono dai crateri sommitali lungo la Sciara del Fuoco (Figura 2). Durante la seconda fase i materiali eruttati formarono a Piscità un piccolo promontorio.

Nel corso dell’eruzione, accompagnata da moderata attività sismica, si verificò anche un maremoto: il mare si ritirò per un centinaio di metri invadendo poi la spiaggia per circa 200 metri, in località Punta Lena. L’altezza massima dell’onda fu di poco oltre i 2.20 metri.
Due dolorosi episodi danno l’idea della elevata temperatura della valanga detritica di Piscità che raggiunse il mare e ne riscaldò l’acqua per un lungo tratto. Una donna che si trovava sopra Labronzo al momento dell’esplosione per cercare scampo tentò di ripararsi verso l’abitato ma arrivata al torrente Piscità e volendolo attraversare fu investita dalla valanga e da essa trascinata per un buon tratto. Il cadavere ritrovato dopo 4 giorni era semicarbonizzato. Ugualmente terribile è stata la fine di un marinaio che per sottrarsi alla pioggia del materiale infuocato che cadeva sull’abitato fuggì verso il mare riparandosi in una anfrattuosità del terreno. Ma l’onda di maremoto lo raggiunse producendo le scottature per effetto dell’acqua divenuta bollente al contatto con la valanga di Piscità e ne provocò la morte dopo poche ore.
Le colate laviche e i materiali piroclastici prodotti dall’eruzione hanno contribuito considerevolmente a incrementare il volume della Sciara, spostando verso il mare la linea di costa per alcuni metri.
Queste e altre osservazioni ci sono pervenute da Alfred Rittmann, vulcanologo svizzero che studiò l’eruzione, pubblicandone la descrizione l’anno successivo, e da altri studiosi.
Dopo l’eruzione, l’isola subì una nuova ondata di emigrazione nell’ultimo dopoguerra; poi, anche grazie alla notorietà internazionale raggiunta grazie al film di Roberto Rossellini “Stromboli, terra di Dio”, negli anni ’50 cominciò a svilupparsi l’attività turistica. Oggi la popolazione residente è di circa 500 persone e sull’isola ci sono tutti i servizi essenziali come guardia medica, scuole, poste, negozi, ristoranti, ma le strade continuano a essere senza illuminazione come un tempo e così le notti stellate a Stromboli sono abbastanza luminose da poter camminare senza l’ausilio delle lampadine e, anche per questo, indimenticabili.
Bibliografia
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Abbruzzese D. (1936): Sulla catastrofica esplosione dello Stromboli dell’11 settembre 1930. Atti Accad. Gioenia Sci. Nat., Catania, Vol. 1, pp.1-33.,
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Rittmann A. (1931): Der Ausbruch des Stromboli am 11 september 1930. Zeits.Vulkanol., 14, 47-77.,
Rittmann A. (1967): I vulcani e la loro attività. Ed. Cappelli, Bologna, pp. 359.
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