La sorveglianza geochimica dei vulcani campani
di Emanuela Bagnato
Il Vesuvio e la caldera dei Campi Flegrei, con lo spettacolare cratere della Solfatara di Pozzuoli e la polla di fango gorgogliante del campo fumarolico di Pisciarelli, sono tra i vulcani a più alto rischio al mondo per lo stile eruttivo esibito in passato, prevalentemente esplosivo, e per la densa urbanizzazione del territorio.

Sebbene caratterizzati da uno stato di attività simile, non tutti i vulcani quiescenti presentano lo stesso livello di rischio sia per la pericolosità dei fenomeni attesi, sia per la diversa entità della popolazione esposta e la vulnerabilità dei manufatti e delle infrastrutture. Spesso l’uso del territorio vicino ai vulcani attivi non ha tenuto conto della loro pericolosità, permettendo l’instaurarsi di situazioni ad alto rischio. Basti pensare che a oggi, più di mezzo milione di persone vive in prossimità della caldera flegrea (Figura 1) e circa 700 mila abitanti popolano l’area immediatamente circostante il Vesuvio (Figura 2).


Il Vesuvio e la caldera dei Campi Flegrei vengono costantemente sorvegliati con tecniche di monitoraggio e di analisi sempre più innovative ed accurate. L’Osservatorio Vesuviano (OV), Sezione di Napoli dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), svolge in prima linea la sorveglianza dello stato di attività dei vulcani campani. Tra le varie attività di monitoraggio, quello geochimico si occupa di definire e caratterizzare i “fluidi vulcanici” al fine di comprenderne l’origine e la circolazione all’interno del sistema vulcanico. Tali fluidi sono costituiti prevalentemente da acqua, vapore acqueo, anidride carbonica (CO2), specie dello zolfo (SO2, H2S) e alogeni (HCl, HF). Queste sostanze possono essere rilasciate attraverso l’attività fumarolica, essere emesse diffusamente attraverso il suolo o da bocche eruttive così come possono essere disciolte all’interno di un acquifero idrotermale interposto tra un magma in profondità e la superficie (Figura 4).

Dallo studio delle emissioni gassose, l’approccio geochimico del vulcanismo analizza le variazioni nel tempo di determinati precursori (o parametri spia), importanti indicatori dei processi che avvengono in profondità e che interessano il sistema in esame. Tra questi vi sono la composizione chimica e isotopica dei gas e delle acque, il flusso di gas, la temperatura delle fumarole e delle falde acquifere. Per tale motivo, i gas vulcanici, a lungo definiti il respiro della Terra, hanno caratteristiche tali da farci comprendere le condizioni dell’ambiente da cui provengono, in sostanza fungono da telegrammi inviati dall’interno della Terra.
Vediamo meglio di cosa si tratta. Le composizioni chimiche e isotopiche dei gas vulcanici e idrotermali sono il risultato dei processi che avvengono quando i gas si separano da un magma in risalita verso zone più superficiali attraverso la crosta terrestre, o più in generale da un magma che subisce una decompressione in profondità. Le specie gassose vulcaniche non vengono rilasciate tutte insieme, bensì in funzione della loro diversa solubilità all’interno del magma, che è essa stessa funzione della pressione (e quindi della profondità). Ogni specie gassosa, quindi, si libera dal magma ad un caratteristico valore di pressione, ovvero di profondità.
Il gas meno solubile nel magma è l’anidride carbonica (CO2), che inizia ad essere rilasciata a grandi profondità (pressione di 1000 bar, intorno ai 25-30 km). La CO2 è circa 50-100 volte meno solubile dell’acqua all’interno dei magmi. Man mano che il magma risale e la pressione litostatica diminuisce, la fase gassosa si andrà arricchendo nelle specie più solubili nel magma quali ad esempio l’anidride solforosa (SO2), l’acido cloridrico (HCl) e l’acido fluoridrico (HF) (Figura 5).

Da queste considerazioni si evince che le variazioni dei rapporti tra le diverse specie chimiche nei gas campionati in superficie, quali ad esempio H2O/CO2, SO2/CO2, HCl/SO2, costituiscono dei potenziali parametri precursori da monitorare per lo studio dello stato di attività di un sistema vulcanico. Tale approccio è ampiamente utilizzato nel monitoraggio geochimico dei vulcani a condotto aperto, caratterizzati da degassamento persistente, come ad esempio lo Stromboli e l’Etna. Infatti, tali variazioni possono indicare l’approssimarsi di condizioni eruttive o eventualmente l’arrivo di nuovo magma dal profondo ricco in gas (principalmente CO2) all’interno di una camera magmatica più superficiale già ampiamente degassata.
Di contro, nel caso di vulcani a condotto chiuso, in cui un acquifero idrotermale si interpone tra un magma in profondità e la superficie (Figura 4), l’arrivo di gas magmatici caldi e profondi potrà determinare un incremento della produzione di vapore e variazioni nella composizione delle fumarole che risulteranno più ricche in componenti magmatiche (come la CO2, ad esempio). Tale aumento non necessariamente dipenderà dalla risalita di un magma verso la superficie, ma piuttosto sarà causato da variazioni di temperatura e pressione di vapore all’interno del sistema idrotermale. Questo è il caso della Solfatara di Pozzuoli in cui, all’interno del sistema idrotermale superficiale i gas magmatici provenienti da una sorgente magmatica profonda si miscelano e fanno evaporare i liquidi di origine meteorica come la pioggia di infiltrazione. Questo processo genera le manifestazioni presenti in superficie come le fumarole e le emissioni di gas diffuso dal suolo.
Il programma di sorveglianza geochimica della caldera dei Campi Flegrei, del Vesuvio e dell’isola di Ischia è svolto da anni dal team di ricercatori e tecnici dell’Unità Funzionale di Monitoraggio Geochimico dell’Osservatorio Vesuviano. Tale programma prevede misure e campionamenti periodici di acque e gas fumarolici, misure in continuo tramite stazioni geochimiche che forniscono in remoto i dati di composizione chimica e temperatura acquisiti in situ in tempo reale, misure del flusso diffuso di CO2 dal suolo e misure di temperatura del suolo.
Come si studiano le emissioni di gas vulcanici e idrotermali?
Il monitoraggio periodico delle emissioni fumaroliche consiste nel campionamento dei fluidi tramite il prelievo di gas con la tecnica delle ampolle a soda o metodo Giggenbach (Figura 6). La fase successiva è quella analitica di laboratorio per la determinazione della composizione chimica e isotopica. Questo metodo rappresenta lo strumento pioniere nel monitoraggio geochimico delle fumarole, ancora oggi ampiamente utilizzato per la sua estrema accuratezza. Una misura fondamentale è la stima della concentrazione di acqua all’interno dei fluidi campionati, e nello specifico del rapporto tra gas e vapore acqueo, che è fondamentalmente una misura del rapporto CO2/H2O.

Da diversi anni l’Osservatorio Vesuviano ha inoltre messo a punto una rete di stazioni per il monitoraggio geochimico in continuo (Figura 7). La rete è costituita da sei stazioni automatiche installate rispettivamente all’interno dell’area craterica della Solfatara, nel campo fumarolico di Pisciarelli (Figura 8) e nelle aree di bordo e fondo cratere del Vesuvio (Figura 9).
Quattro stazioni di monitoraggio misurano il flusso di CO2 dal suolo, la temperatura e la pressione differenziale delle fumarole, il gradiente di temperatura del suolo e la pressione e temperatura atmosferica. Altre stazioni sono integrate con un MultiGas, un analizzatore multicomponente di gas munito di uno spettrometro a infrarosso e di specifici sensori elettrochimici. Questo strumento è ampiamente utilizzato nella sorveglianza geochimica dei vulcani attivi e consente di acquisire in tempo reale e simultaneamente la concentrazione di diverse specie gassose quali CO2, H2S, SO2 e H2O.
Le stazioni automatiche permettono di intensificare la frequenza di campionamento, il che si traduce in una maggiore acquisizione di dati, ovvero una sorveglianza più accurata dello stato di attività delle aree studiate. I dati registrati dalle stazioni della rete geochimica vengono trasmessi in tempo reale all’Osservatorio Vesuviano attraverso sistemi di comunicazione radio digitale gestiti dallo stesso istituto.



Il monitoraggio geochimico della Solfatara di Pozzuoli (Campi Flegrei) è iniziato nel 1982-1985 con lo studio sistematico delle principali fumarole presenti al suo interno. I risultati del monitoraggio mostrano a partire dall’anno 2000 un aumento del rapporto CO2/H2O delle fumarole Bocca Grande e Bocca Nuova (Figura 10). Tale aumento è probabilmente legato ad un aumento del flusso dei fluidi magmatici (e della pressione) e allo stato termico del sistema, che innesca possibili processi di condensazione del vapore nel sistema idrotermale, influenzando il rapporto CO2/H2O misurato nelle fumarole.

All’interno della caldera dei Campi Flegrei, nel campo fumarolico di Pisciarelli ed al cratere del Vesuvio si effettuano inoltre misure periodiche, su punti fissi, del flusso diffuso di CO2 dal suolo e della temperatura del suolo. Lo strumento utilizzato è una camera di accumulo, ovvero una sorta di pentola capovolta, connessa ad uno spettrofotometro infrarosso che consente di stimare la variazione nel tempo della concentrazione di CO2 rilasciata dal suolo e stimarne il flusso (Figura 11).

In particolare, i valori di flusso di CO2 dal suolo relativi alle campagne mensili di misura condotte all’interno del cratere della Solfatara, mostrano un aumento dei valori a partire dal 2006, compatibile con un processo di riscaldamento e pressurizzazione del sistema idrotermale dei Campi Flegrei (Figura 12).

Per una più approfondita comprensione della fenomenologia in corso del sistema flegreo e delle possibili cause si rimanda ai lavori scientifici riportati in bibliografia ed al sito dell’Osservatorio Vesuviano (https://www.ov.ingv.it).
Bibliografia
Caliro S., G. Chiodini, R. Moretti, R. Avino, D. Granieri, ,M. Russo, J. Fiebig (2007). The origin of the fumaroles of La Solfatara(Campi Flegrei, South Italy). Geochimica et Cosmochimica Acta 71, 3040-3055, doi: https://doi.org/10.1016/j.gca.2007.04.007.
Cardellini C., G. Chiodini, F. Frondini, R. Avino, E. Bagnato, S. Caliro, M. Lelli, A. Rosiello (2014). Monitoring diffuse volcanic degassing during volcanic unrests: the case of Campi Flegrei (Italy). Scientific Reports 7, 6757, doi:https://doi.org/10.1038/s41598-017-06941-2.
Chiodini G., J. Vandemeulebrouck. S. Caliro, L. D’Auria, P. De Martino, A. Mangiacapra, Z. Petrillo (2015). Evidence of thermal-driven processes triggering the 2005–2014 unrest at Campi Flegrei caldera. Earth and Planetary Science Letters 414, 58-67, doi: https://doi.org/10.1016/j.epsl.2015.01.012
Chiodini G., A. Paonita, A. Aiuppa, A. Costa, S. Caliro, P. De Martino, V. Acocella, J. Vandemeulebrouck (2016). Magmas near the critical degassing pressure drive volcanic unrest towards a critical state.Nature Communications 7, 13712, doi: 10.1038/ncomms13712.
Fisher T.P. and G. Chiodini (2015). Volcanic, Magmatic and Hydrothermal Gases. In The Encyclopedia of Volcanoes, p.779.
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