La Kamchatka, non solo RISIKO!
di Gianfilippo De Astis
La penisola della Kamchatka – territorio “famoso”, e spesso infido, per i più accaniti giocatori di “Risiko!” – è una terra selvaggia che pochi hanno avuto la fortuna di vedere e di cui fino a poco tempo fa ci giungevano descrizioni (o fantasie) soprattutto dalla letteratura. Nel Moby Dick di Melville (1851) per esempio, si legge: «Non è segnata su nessuna mappa; i posti veri non lo sono mai». Mentre in un libro molto più recente (2003) di Marcelo Figueras, intitolato proprio “Kamchatka”, è «quella lingua gelata che la Russia mostra all’Oceano Pacifico per farsi beffe dei suoi vicini d’oltremare», con «le sue nevi eterne e i suoi cento vulcani… il ghiacciaio del Mutnovsky e i suoi laghi dalle acque acide… i suoi orsi selvatici, le fumarole e le bolle di gas che si gonfiano come rospi sulla superficie delle acque termali. A me bastava che avesse la forma di una scimitarra e che fosse inaccessibile».
Ed ancora, in Descrizione della terra della Kamchatka del 1755, il famoso viaggiatore e geografo russo Stepan Krasheninnikov riporta: «Forse non c’è altra regione al mondo in cui si possano trovare così tanti vulcani e sorgenti termali in uno spazio così piccolo come qui, in Kamchatka».
Ecco che dalla letteratura possiamo trarre subito tre caratteri distintivi di questa remota penisola russa: l’incommensurabile distanza da tutto (siamo ancora più a oriente della famigerata Russia Siberiana), la natura selvaggia ed estrema e l’impressionante presenza dei vulcani, con tutti i fenomeni ad essi correlati.
Natura e vulcani che ben pochi hanno avuto modo di studiare, e non solo per la difficoltà di raggiungere questo territorio meraviglioso e poco abitato. Dai tempi degli zar di Russia e fino al 1990, infatti, la Kamchatka è rimasta ampiamente sconosciuta perché nessuno straniero poteva metterci piede e gli stessi abitanti della ex-URSS dovevano richiedere un permesso speciale per farlo. Adesso le cose sono un po’ cambiate, ma resta pur sempre una terra aspra e inospitale – occupata per oltre metà dalla taiga, dalla tundra e da prati – con ampie aree prive di strade e dove gli elicotteri sono l’unico modo per raggiungere certe zone.
Geodinamica e vulcani
Con una superficie di 270.000 km2 – equivalente a poco più del Regno Unito – la Kamchatka è una delle aree vulcanicamente più attive della Terra. In effetti, essa ospita all’incirca 300 vulcani (dati NASA), di cui una trentina sono vulcani attivi. Se si tenesse conto dell’intero sistema Kamchatka – arco insulare delle Isole Curili, lungo 2000 km, il numero di vulcani attivi salirebbe a 68 (Figura 1).

Il perché di una tale abbondanza di vulcani, come dice il vulcanologo russo Alexei Ozerov, è che «solo la penisola di Kamchatka si trova direttamente sopra le forze tettoniche che hanno forgiato i suoi vulcani», alludendo al fatto che essa si trova proprio al di sopra di un tratto dell’Anello di Fuoco del Pacifico. Vale qui la pena ricordare che questa cintura che corre lungo il contatto tra l’Oceano Pacifico e i continenti che lo bordano è dominata dalla subduzione di (varie) placche oceaniche sotto le meno dense placche continentali. Nella regione settentrionale dell’Oceano Pacifico, dove si trovano le isole Curili, la Kamchatka e l’arcipelago delle Aleutine, siamo in corrispondenza di una tripla giunzione ossia, geodinamicamente, nel punto di incontro di tre placche tettoniche: la placca pacifica, la placca nordamericana e la placca di Okhotsk (Figura 2). Secondo alcune più recenti teorie geologiche, basate su dati GPS, tra la placca nordamericana e quella pacifica esisterebbe in realtà anche una quarta placca, chiamata placca di Bering, la cui esistenza non è ancora stata del tutto verificata e accettata.

Nel tratto dell’ Anello della Kamchatka si combinano un’alta velocità di convergenza della subduzione (≥ 8 cm/anno) e la presenza di una spessa crosta continentale, il che ha reso possibile la formazione di grandi camere magmatiche con magmi viscosi, molto ricchi in silice, capaci di dare origine a grandi eruzioni di svuotamento e quindi a numerose grandi caldere o addirittura a complessi di caldere. Ci sono più caldere in Kamchatka che in ogni altro arco insulare di ogni altra parte del mondo (Bindeman et al., 2010).
In risposta ad una subduzione così rapida, la penisola è composta da tre fronti vulcanici: lo Sredinny range a ovest, che è il più antico (Oligocene), e due fronti vulcanici più giovani verso est, di cui solo quello più orientale è attualmente attivo ma lo è dal Pleistocene, ovvero da quasi due milioni di anni (Figura 3).

La conferma della notevole intensità e ampia distribuzione dei fenomeni eruttivi viene dall’UNESCO, che ha aggiunto un tassello in più nel tratteggiare il vulcanismo della remota penisola russa. Quando il famoso organismo internazionale ha deciso di includere una parte di questi vulcani tra i patrimoni dell’umanità, la commissione di valutazione preposta ha scritto: “I geologi classificano i vulcani in base alla forma e alle tipologie eruttive e ancora una volta la Kamchatka si distingue per avere la più grande varietà di tipi, più di qualsiasi altra area e che in qualsiasi altro sito esistente del Patrimonio Mondiale”. Dunque la Kamchatka non è unica solo per l’alto numero di vulcani ma anche per il ventaglio di regimi eruttivi possibili.
Il vulcanismo recente e storico
Negli ultimi 10.000 anni, in Kamchatka si sono verificate almeno 60 grandi eruzioni, tra cui vanno annoverate anche due grandi eruzioni storiche verificatesi nel 1854 e nel 1964, dal vulcano Shiveluch. Nella catena vulcanica orientale, da nord al sud, oltre allo Shiveluch i vulcani più attivi sono: Bezymianny, Kizimen, Karymsky e Zhupanovsky. Non è raro che alcuni fra questi siano in eruzione contemporaneamente.
Il più alto del gruppo è proprio lo Shiveluch, uno stratovulcano dai fianchi ripidi, che raggiunge i 3.283 metri sul livello del mare ed è caratterizzato dalla presenza di una caldera di 9 km di diametro che ha troncato il cono più antico dell’apparato (lo Stary Shiveluch). Il più attivo, recentemente, è stato il Karymsky, un altro stratovulcano di 1.536 metri che ha eruttato con un’alta frequenza sin dal 1996, costruito all’interno di una caldera larga 5 km, formatasi durante il primo Olocene, ovvero circa 11000-8000 anni anni fa. Ma anche il Bezymianny si è reso protagonista nel secolo scorso (1956) di una drammatica eruzione che è arrivata al culmine di attività eruttive iniziate improvvisamente un anno prima, da un sistema vulcanico che molti studiosi davano ormai per estinto. Questa eruzione, che è stata considerata – a posteriori – simile a quella del Monte St. Helens nel 1980, ha prodotto un grande cratere a forma di ferro di cavallo con un meccanismo analogo: collasso della sommità del vulcano ed esplosione laterale associata.
Le eruzioni di Bezymianny e Shiveluch sono entrambe caratterizzate e governate dalla crescita di duomi di lava: lava densa e pastosa che viene estrusa così lentamente da formare delle cupole in corrispondenza e intorno alla bocca eruttiva. La loro attività esplosiva è, quindi, sostanzialmente associata allo smantellamento e distruzione violenta di questi duomi, con formazione di alte colonne eruttive e flussi piroclastici.
Il magma del vulcano Kizimen ha, invece, una composizione intermedia e meno viscosa di quella degli altri due. Questo magma forma, quindi, spesse colate di lava a blocchi, delimitate da alti argini.
Le eruzioni dei vulcani Bezymianny e Shiveluch
Nelle scorse settimane, sia il Bezymjannyj che lo Shiveluch si sono fatti sentire ed il secondo, in particolare, ha prodotto un’eruzione che ha creato non pochi problemi nella regione.
Secondo l’istituto scientifico russo KVERT (Kamchatkan Volcanic Eruption Response Team), il 7 Aprile ha aperto le danze il Bezymjannyj con una intensa attività esplosiva durata sino alla mattina dell’8 aprile. Sulla base delle webcam disponibili e dei dati satellitari raccolti, nubi di ceneri e gas sono salite fino a 10-12 km s.l.m. disperdendosi per 2.800 km a est, con notevoli quantità di ceneri giunte e depositatesi sulla stazione di Apakhonchich.
L’11 aprile scorso alle 01:10 (ora locale), è stato il turno dello Shiveluch che ha prodotto un’eruzione ancor più significativa, con colonne di ceneri giunte fino ad altezza comprese tra 16 e 20 km s.l.m. durante la fase più intensa di attività. Anche in questo caso i dati satellitari hanno rilevato una significativa traccia di anidride solforosa nella parte sommitale della nube eruttiva (Figura 4), e la dispersione di flussi piroclastici capaci di percorrere notevoli distanze. La caduta di cenere e lapilli ha colpito un’area di circa 108.000 km2 intorno al vulcano. Forti esplosioni sono continuate durante la mattina del 12 aprile e le immagini satellitari hanno mostrato un ulteriore nube (plume) di ceneri con altezza fino a 8 km s.l.m. (Figura 5). Nel frattempo, la dispersione delle ceneri generate il giorno prima, si estendeva di 600 km verso SO e di 1050 km a ESE, in aumento nelle ore successive.


La parte apicale del vulcano dopo questa eruzione è risultata fortemente modificata perché le webcam che riprendevano lo Shiveluch hanno documentato la distruzione e scomparsa del duomo presente prima dell’eruzione e la formazione di una piccola caldera (2 x 2,6 km ), con un inizio di nuovo magma viscoso in accumulo al suo interno (Figura 6). Abbinando questa informazione con lo scorrimento dei flussi piroclastici i vulcanologi russo hanno concluso che si è trattato di un evento eruttivo di tipo Peléeano seguito da una sequenza di esplosioni vulcaniane.

Registrando la caduta di ceneri nelle località di Kozyrevsk, Maiskoye, Atlasovo, Lazo ed Esso, con un deposito spesso fino a 8,5 cm nel villaggio di Klyuchi, a 50 km dal vulcano, gli scienziati del KVERT hanno stabilito che si è trattato del più imponente fenomeno di caduta di ceneri (fallout) verificatosi in Kamchatka negli ultimi 60 anni (Figura 7). A quel punto, hanno emesso un avviso rosso per l’aviazione (Volcano Observatory Notice for Aviation – VONA), che è il massimo livello di allerta per i voli aerei internazionali e a bassa quota derivanti da attività eruttive in corso potenzialmente dannose. E’ infatti ormai noto che la cenere vulcanica ha forme spigolose ed è altamente abrasiva, al punto di danneggiare e far spegnere i motori a reazione. Effetti dell’eruzione del vulcano Shiveluch sono visibili in questo video: https://www.youtube.com/watch?v=GHR-BgAJ858.

I giorni immediatamente seguenti all’eruzione dello Shiveluch hanno prodotto esattamente gli effetti temuti: ceneri e gas della sua nube eruttiva si sono spostati ancora più ad est verso le isole Aleutine e hanno raggiunto il Golfo dell’Alaska il giorno 13 aprile, causando l’interruzione dei voli di linea. Sono stati più di 100 i voli cancellati in transito nello spazio aereo dell’Alaska, così come cancellazioni di voli sono state segnalate anche nel Canada nordoccidentale (British Columbia) il 13 e 14 aprile. Il ritorno alla normalità dei voli aerei c’è stato solo il 15 aprile.
Era dai tempi dell’eruzione dell’Eyjafjallajökull, nel 2010, che un vulcano non creava così tanti problemi al traffico aereo internazionale.
Vulcani e sorveglianza
Sia la letteratura degli ultimi due secoli sia i report scientifici degli ultimi vent’anni derivanti dalle tecnologie più avanzate, ci lasciano facilmente intuire che le sfide logistiche associate all’installazione e alla manutenzione di strumenti di sorveglianza a terra sono molto ardue in Kamchatka e, di conseguenza, i satelliti sono uno strumento irrinunciabile per il monitoraggio dei vulcani di questa penisola. Esistono diversi fenomeni vulcanici ben osservabili con il rilevamento e il monitoraggio a distanza: le colonne eruttive cariche di ceneri, di anidride solforosa e vapor d’acqua; le anomalie a bassa temperatura osservabili dai laghi vulcanici e dalle fumarole, come pure quelle ad alta temperatura prodotte da colate laviche, duomi e flussi piroclastici; infine, le deformazioni dei terreni che costituiscono l’edificio vulcanico. E’ la scienza del telerilevamento.
Protesa tra il Mare di Bering e quello di Okhotsk, in questo lembo estremo del Pacifico settentrionale, la Kamchatka intercetta le principali rotte aeree tra il Nord America/Europa e l’Estremo Oriente. Per questa ragione è costantemente monitorata e in particolare per i potenziali ed elevati rischi legati alla circolazione ed ingestione delle ceneri. I satelliti, dunque, la sorvegliano da decenni.
Abitata all’incirca da 340.000 persone circa, oltre la metà delle quali residenti nella capitale Petropavlovsk-Kamchatsky (180.000 abitanti) e con una densità di popolazione bassissima (1 persona ogni 16 km2), questa penisola presenta un rischio vulcanico piuttosto basso in termini di possibili perdite di vite umane. Il vulcano attivo più vicino alla capitale è l’Avachinsky (Figura 8), che ha registrato la sua ultima attività nel 1991 (colate di lava, formazione di un duomo e di lahars/colate di fango) ma resta comunque distante dalla città circa 30 km.

Gli altri abitanti si trovano principalmente distribuiti nelle valli dei fiumi Avacha e Kamchatka, in piccoli villaggi a decine di km dai crateri dei vulcani attivi. Tuttavia, eruzioni come quella dello Shiveluch possono causare notevoli disagi: strade impraticabili, chiusura delle scuole e degli asili, inquinamento delle acque (come hanno riportato molti giornali e media, sulla base delle testimonianze raccolte).
Negli ultimi decenni, seppur da lontano, abbiamo assistito alla transizione della Kamchatka dalla sonnolenta opacità dell’era sovietica alla spregiudicata e corrotta instabilità post-comunista. Dismesse anche le vesti dello sconosciuto paese in alto a destra sul planisfero del Risiko, i suoi nuovi tratti la rendono probabilmente più simile a quelle zone di frontiera di un passato ormai lontano, come il selvaggio West del secolo XIX, che ad una facile meta turistica. Ciò che di sicuro non è cambiato e ci appare sempre più in risalto, sono i vulcani che la costituiscono e la loro quasi incessante attività. La Kamchatka e le sei immense riserve sorte come patrimonio naturale mondiale al suo interno hanno ancora molto da rivelare a vulcanologi, naturalisti ed etnologi.
Bibliografia
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“Bezymianny” GVP. Smithsonian Institution. https://volcano.si.edu/volcano.cfm?vn=300250
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