L’eruzione dell’Etna del 1923 e la fotografia di Gaetano Ponte

di Stefano Branca

In occasione della ricorrenza dei cento anni dall’eruzione laterale dell’Etna del 1923 è stato presentato al pubblico un libro dal titolo “Il cinema(tografo) visto dall’Etna. Jean Epstein e l’eruzione del 1923” a cura di Mario Patanè e Laura Vichi, edito dalla Confraternita di S. Egidio Abate. Il libro è stato patrocinato dall’INGV in quanto l’evento del 1923 rappresenta uno storico esempio del connubio tra studio scientifico delle eruzioni etnee e immagini, grazie alle fotografie di Gaetano Ponte e alle straordinarie riprese del regista francese Jean Epstein che, in occasione dell’eruzione, realizzò il documentario dal titolo “La Montagne infidèle”. Di seguito proponiamo uno stralcio di un saggio scritto da Stefano Branca per questo libro, dal titolo “L’eruzione dell’Etna del 1923 e la fotografia di Gaetano Ponte”.

L’eruzione laterale del 1923 dell’Etna ricade in un periodo importante per la storia della vulcanologia catanese grazie all’operosità del vulcanologo Gaetano Ponte (1876-1955), docente dell’Università di Catania. Infatti, dopo la prematura morte del vulcanologo Orazio Silvestri (1835-1890), lo sviluppo delle attività in questo campo ebbero un improvviso arresto che perdurò fino al primo decennio del XX secolo. Durante la sua brillante carriera accademica Ponte fondò l’Istituto di Vulcanologia dell’Università di Catania che, dopo un lungo percorso informale iniziato nel 1926, fu istituito con Regio Decreto l’11 agosto 1933 e di cui fu il direttore fino al 1949 quando fu messo a riposo e nominato professore emerito di vulcanologia, l’unico di questo settore dell’università di Catania.

Le idee e i risultati delle ricerche scientifiche condotte da Ponte sono ben noti attraverso la sua grande produzione scientifica che è corredata da una vastissima produzione fotografica. L’archivio fotografico di Ponte, costituito da oltre 3000 immagini realizzate dalla fine del 1800 fino al 1950 circa, è conservato presso l’Archivio Fotografico Toscano (AFT) di Prato e rappresenta un patrimonio unico di documentazione storica dei vulcani siciliani, e non solo (https://www.aft.it/it/catalogo-on-line/fondo-ponte/pagina2780.html).

La documentazione fotografica è stata recuperata e valorizzata grazie a una collaborazione fra l’AFT e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Catania-Osservatorio Etneo, attraverso la realizzazione di un catalogo informatico disponibile online (http://catalogo.aft.it/fondoponte/temi.jsp). Le fotografie di Ponte hanno, principalmente, documentato le numerose eruzioni laterali dell’Etna avvenute nella prima metà del XX secolo e l’attività eruttiva dei crateri sommitali con i relativi cambiamenti morfologici, diventando così una preziosa documentazione scientifica atta a dimostrare i processi eruttivi . In questo ambito, fortemente innovative furono le tesi di Ponte sulla necessità dell’uso dei sorvoli aerei per meglio monitorare i fenomeni eruttivi (Figura 1).

Figura 1 – Aeroporto di Catania, 1923. Primo sorvolo scientifico realizzato da Gaetano Ponte su un biplano trimotore Caproni della Regia Aeronautica Italiana durante l’eruzione laterale del 1923 (Immagine cortesia Fondo Gaetano Ponte-AFT).

Ponte realizzò i primi rilievi fotografici aerei nel giugno del 1923 al fine di osservare l’eruzione, che stava causando notevoli danni al territorio di Linguaglossa, e l’anno successivo fece eseguire alla Regia Aeronautica Militare un rilievo aereo planimetrico del teatro eruttivo. L’eruzione del 1923 fu osservata e studiata da diversi scienziati italiani: oltre che da Gaetano Ponte, che realizzò due note su questo evento, anche da Ottorino De Fiore (1890-1953), che realizzò un dettagliato diario scientifico giornaliero sull’evento eruttivo e sulla sismicità associata pubblicato nel 1926, da Gaetano Platania (1867-1938), che all’epoca dei fatti era il direttore del Regio Osservatorio Geofisico di Catania, e da diversi scienziati stranieri fra cui Georg L.L. Kemmerling, capo del servizio vulcanologico delle Indie olandesi.

L’eruzione del 1923 si è verificata in un’area del vulcano caratterizzata dalla presenza di un’elevata concentrazione di fessure eruttive, sia di epoca preistorica che storica. Quest’area di debolezza dell’edificio vulcanico è nota, nella letteratura scientifica, come il Rift di NE che è costituito da un allineamento di fessure eruttive orientate 20-30°E, concentrate in un’area la cui estensione laterale è di circa 2 km che si sviluppa da circa 2500 m fino a 1700 m di quota. In epoca moderna e contemporanea il Rift di NE, oltre l’evento del 1923 (Figura 2), è stato interessato da diverse intrusioni magmatiche che hanno generato le eruzioni laterali del: 1566, 1614-24, 1646-47, 1809, 1874, 1879, 1911, 1947, 2002.

Mappa delle eruzioni di epoca moderna e contemporanea del versante nord-est dell’Etna (modificata da Branca et al. 2011). Il colore dei coni di scorie e dei depositi piroclastici distali corrispondono a quello delle relative eruzioni. Equidistanza delle curve di livello 250 m.
Figura 2 – Mappa delle eruzioni di epoca moderna e contemporanea del versante nord-est dell’Etna (modificata da Branca et al. 2011). Il colore dei coni di scorie e dei depositi piroclastici distali corrispondono a quello delle relative eruzioni. Equidistanza delle curve di livello 250 m.

L’eruzione del 1923 fu preceduta da un lungo periodo di attività esplosiva stromboliana, iniziato nel novembre del 1921, che interessò in maniera discontinua il Cratere di Nord-Est fino alla primavera del 1923. Un’intensificazione dell’attività del Cratere di Nord-Est fu registrata a partire dal 3 maggio quando si aprì una bocca effusiva a circa 3000 m di quota, presso la base settentrionale del cratere, da cui furono emesse colate laviche che si svilupparono nell’area sommitale e nella Valle del Leone fino alla prima metà di giugno (Figura 3).

Figura 3 - 15 maggio 1923. Il Cratere di Nord-Est in attività stromboliana ed emissione di colate laviche fotografato dall’orlo del Cratere Centrale (Immagine cortesia Fondo Gaetano Ponte-AFT).
Figura 3 – 15 maggio 1923. Il Cratere di Nord-Est in attività stromboliana ed emissione di colate laviche fotografato dall’orlo del Cratere Centrale (Immagine cortesia Fondo Gaetano Ponte-AFT).

A partire dalle ore 22:00 del 16 giugno la popolazione del versante settentrionale e orientale dell’Etna iniziò ad avvertire una sequenza di scosse sismiche. Fra le ore 01:00 e 01:30 del 17 giugno ebbe inizio un’intrusione magmatica dal Cratere di Nord-Est con la formazione di un lungo sistema di fessure eruttive (Figura 4), orientato NE-SO, che da una quota di circa 2500 m si sviluppò fino a circa 1750 m s.l.m. subito a valle del Monte Nero, sviluppandosi per una lunghezza di 4,2 km nella porzione centrale del Rift di NE.

Figura 4 – 17 giugno 1923. Gaetano Ponte ripreso ad una quota di circa 2000 m s.l.m. con sullo sfondo l’attività esplosiva dal segmento della fessura eruttiva di quota 2300 m s.l.m. Sullo sfondo a destra il profilo di Monte Pizzillo. Negli articoli scientifici di Ponte a queste nuove bocche eruttive fu dato l’appellativo di “Crateri Vittorio Emanuele III” (Immagine cortesia Fondo Gaetano Ponte-AFT).

L’intrusione magmatica fu estremamente rapida, tanto che, già alle ore 04:00 aveva raggiunto la quota di circa 2000 m nei pressi del Monte Nero. Questo tratto della fessura eruttiva fu caratterizzata da una breve ma intensa attività esplosiva di tipo Stromboliano, generata da numerose bocche esplosive (Figura 5), che ha portato alla formazione di bastioni di scorie saldate allineati per centinaia di metri. Le bocche effusive principali si localizzarono presso il Monte Ponte di Ferro, a 2000 m s.l.m., mentre le fessure eruttive che attraversarono il Monte Nero erano costituite da due piccoli segmenti localizzati a 1920 m e 1800-1750 m s.l.m., che formarono due brevi colate laviche con una lunghezza massima di circa 700 m, e da una bocca che si formò presso la base sud-occidentale del cono di Monte Nero a 1998 m s.l.m. Questa bocca rimase attiva solo per quattro giorni, fino al 21 giugno, e generò una colata lavica, in parte sovrapposta a quella del 1879, che percorse circa 3 km raggiungendo la quota minima di circa 1350 m s.l.m.

Figura 5 - Particolare dell’intensa attività esplosiva con formazione di nubi di cenere lungo il segmento della fessura eruttiva localizzato a circa 2300 m s.l.m. ad est del Monte Pizzillo. Sullo sfondo il Cratere di NE e il Cratere Centrale in forte degassamento (Immagine cortesia Fondo Gaetano Ponte-AFT).
Figura 5 – Particolare dell’intensa attività esplosiva con formazione di nubi di cenere lungo il segmento della fessura eruttiva localizzato a circa 2300 m s.l.m. ad est del Monte Pizzillo. Sullo sfondo il Cratere di NE e il Cratere Centrale in forte degassamento (Immagine cortesia Fondo Gaetano Ponte-AFT).

Le bocche effusive principali, localizzate ad ovest di Monte Ponte di Ferro, che furono osservate e fotografate da vicino da Gaetano Ponte durante la giornata del 17 giugno (Figura 6), furono caratterizzate da un alto tasso effusivo, che produsse un rapido sviluppo della colata lavica che si sovrappose a quella del 1809 fiancheggiando quella del 1911 (Figura 2).

Figura 6 - Vista della porzione inferiore della fessura eruttiva in attività esplosiva durante i primi giorni dell’eruzione. In primo piano le bocche eruttive principali, localizzate subito a ovest di Monte Ponte di Ferro a quota 2000 m s.l.m., da cui viene emessa la colata lavica. Negli articoli scientifici di Ponte a questo apparato eruttivo in formazione fu dato l’appellativo di “Crateri Mussolini” (Immagine cortesia Fondo Gaetano Ponte-AFT).
Figura 6 – Vista della porzione inferiore della fessura eruttiva in attività esplosiva durante i primi giorni dell’eruzione. In primo piano le bocche eruttive principali, localizzate subito a ovest di Monte Ponte di Ferro a quota 2000 m s.l.m., da cui viene emessa la colata lavica. Negli articoli scientifici di Ponte a questo apparato eruttivo in formazione fu dato l’appellativo di “Crateri Mussolini” (Immagine cortesia Fondo Gaetano Ponte-AFT).

In particolare, la colata lavica in circa 10 ore percorse ben 7 km attestandosi a una quota di circa 800 m s.l.m. presso il Piano delle Felci. Durante questa veloce progressione la colata investì la pineta di Linguaglossa (Figura 7) e causò danni alle aree coltivate, minacciando le prime case della borgata di Cerro. Dopo questo rapido sviluppo la colata lavica fu caratterizzata da un fisiologico rallentamento e un progressivo allargamento del fronte che distrusse la borgata di Cerro il 18 giugno per poi investire la stazione ferroviaria di Castiglione e la borgata di Catena la notte del 19 giugno.

Figura 7 – La colata lavica e i resti della Pineta di Linguaglossa, sullo sfondo l’intensa emissione di cenere dal Cratere Centrale dispersa dai venti in quota in direzione Est (Immagine cortesia Fondo Gaetano Ponte-AFT).

La colata raggiunse la sua lunghezza massima di 11,5 km il giorno 21 giugno, nei pressi del Monte Santo ad una quota di 625 m s.l.m., minacciando da vicino il paese di Linguaglossa che distava solamente 2 km circa dal fronte attivo. Le osservazioni sul terreno da parte dei vulcanologi evidenziarono che a partire dal 22 giugno l’effusione lavica alle bocche principali stava diminuendo gradualmente (Figura 8). Gaetano Ponte, al fine di osservare lo sviluppo del fenomeno eruttivo, fece un sorvolo la mattina del 28 giugno con un idrovolante M. 28 a una quota tra i 2500 e i 3000 m s.l.m., e realizzò diverse fotografie che, purtroppo, sono andate disperse. Il fronte più avanzato della colata nei pressi di Monte Santo si arrestò definitivamente il 29 giugno e l’emissione lavica alle bocche, durante la prima settimana di luglio, fu caratterizzata da un lento deflusso che produsse solo sovrapposizione nella parte alta del campo lavico, così come la settimana successiva.

Figura 8 - Ripresa notturna delle due bocche effusive principali di quota 2000 m s.l.m., presso il Monte Ponte di Ferro, i cui flussi lavici confluiscono, dopo poche decine di metri, in un unico canale di scorrimento lavico (Immagine cortesia Fondo Gaetano Ponte-AFT).
Figura 8 – Ripresa notturna delle due bocche effusive principali di quota 2000 m s.l.m., presso il Monte Ponte di Ferro, i cui flussi lavici confluiscono, dopo poche decine di metri, in un unico canale di scorrimento lavico (Immagine cortesia Fondo Gaetano Ponte-AFT).

Durante tutta l’eruzione il Cratere Centrale fu interessato da una continua emissione di cenere, talvolta sostenuta, con la formazione di nubi eruttive alte diverse chilometri (Figura 9), che unitamente all’attività esplosiva della fessura eruttiva causarono un’abbondante ricaduta di cenere prevalentemente nel settore nord-orientale e orientale dell’Etna. Ad esempio esplicativo, durante i primi giorni dell’eruzione, nel paese di Piedimonte si depositarono circa 10 cm di cenere. L’eruzione si concluse il 18 luglio dopo 31 giorni di attività in cui furono eruttati 78 × 106 m3 di lava, con un tasso eruttivo medio di 29 m3/s. La colata lavica coprì complessivamente un’area di 6,48 km2 causando notevoli danni alla pineta di Linguaglossa, già danneggiata durante l’eruzione del 1911, e alle aree coltivate, distruggendo la stazione ferroviaria di Castiglione di Sicilia e interrompendo le vie di comunicazione, quali la ferrovia e la strada Linguaglossa-Fornazzo, e infine distruggendo completamente le borgate di Cerro e Catena.

Figura 9 - Attività esplosiva dal segmento superiore della fessura eruttiva di quota 2500 m s.l.m. e formazione di una colonna di cenere dal Cratere Centrale (Immagine cortesia Fondo Gaetano Ponte-AFT).
Figura 9 – Attività esplosiva dal segmento superiore della fessura eruttiva di quota 2500 m s.l.m. e formazione di una colonna di cenere dal Cratere Centrale (Immagine cortesia Fondo Gaetano Ponte-AFT).

L’eruzione del 1923 sarà il preludio di quello che accadrà cinque anni dopo. Infatti, nel 1928 si verificherà l’unico evento eruttivo dal XVIII secolo ad oggi che ha causato la distruzione di un centro abitato dell’Etna. Fra il 6 e il 7 novembre del 1928, la cittadina di Mascali che sorgeva nel basso versante orientale dell’Etna fu sepolta da una colata lavica. Durante questo nefasto evento eruttivo Gaetano Ponte, anche alla luce dell’esperienza acquisita durante l’eruzione del 1923 (Figura 10), porterà avanti lo sviluppo del suo progetto scientifico ed istituzionale dell’Istituto Vulcanologico Etneo dell’Università di Catania. Infatti, sfruttando l’esperienza della gestione dell’emergenza vulcanica vissuta durante l’eruzione del 1923, in cui ci fu una notevole esagerazione giornalistica del fenomeno relativa a comunicati fortemente ambigui prodotti da diverse agenzie, Ponte riuscì a far diventare il bollettino dell’istituto l’organo di informazione scientifica ufficiale per le autorità preposte alla gestione dell’emergenza.

Figura 10 – Ripresa aerea planimetrica del segmento della fessura eruttiva del 1923 localizzata a 2300 m s.l.m., presso il Monte Pizzillo (sulla sinistra), costituita da numerose bocche esplosive. Fotografia realizzata nel 1924 dalla XIII Squadriglia della Regia Aeronautica Militare (Immagine cortesia Fondo Gaetano Ponte-AFT).

Le attività di monitoraggio e sorveglianza vulcanologica vennero così istituzionalizzate per la prima volta all’Etna grazie all’operosità di Ponte, e durante la seconda metà del XX secolo questo percorso virtuoso fu portato avanti da Alfred Rittmann (1893–1980) che ebbe l’idea di creare un istituto di ricerca internazionale a Catania negli anni ’60, precursore dell’attuale Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

Ringraziamenti

Si ringrazia l’Archivio Fotografico Toscano di Prato per aver gentilmente fornito le fotografie relative all’eruzione del 1923 appartenenti al Fondo Gaetano Ponte. Infine, si ringrazia la collega Cristina Proietti per avere realizzato la mappa delle eruzioni storiche del versante nord-est dell’Etna.


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